SINDACATO E POLITICA, VERSO UN NUOVO CAMMINO
La storia del rapporto tra il sindacato e la politica, tra la sinistra riformista e quella massimalista è un alternarsi continuo di crisi e d’identità, di affiancamento e di percorsi paralleli. È inevitabile! Da un lato, perché il cambiamento del lavoro, della sua organizzazione e talvolta, addirittura, natura (come avviene in questa fase storica), nonché dei mezzi di produzione e dei mercati, è continuo, sia che avvenga per piccoli passi sia per clamorose rotture. Il che sottopone tutti i soggetti economici e politici a inseguire, inseguirsi, resistere o cambiare. Dall’altro, perché il cambiamento sociale, che segue o precede l’evoluzione capitalistica, modifica le classi e i ceti; impone nuove rappresentanze, alle quali non sempre sindacato e politica sono pronti e ne conclude di consolidate dalle quali non sempre gli stessi sono in grado o disponibili ad allontanarsi.
È attorno a queste due cause che bisogna indagare per comprendere le strategie adottate dai protagonisti. In una struttura fordista e classista, era più facile che si formassero dei blocchi sociali nei quali gli interessi della politica e del sindacato coincidessero; in quel contesto, fortemente ideologico, la “cinghia di trasmissione” sembrava naturale. Ma anche allora le differenze si manifestarono e finirono per esplodere con l’industrializzazione di massa che sostituì al primato professionale dell’operaio specializzato quelli dell’operaio comune e comportò la progressiva proletarizzazione delle classi impiegatizie. Basti ricordare cosa significò la discussione sulla rappresentanza ai tempi dell’autunno caldo.
Con la fine del fordismo ed in piena globalizzazione, le dinamiche sono ulteriormente e profondamente trasformate, sicché gli interessi tra il sindacato e la politica divergono esplicitamente, perché differenti sono ormai le rappresentanze sociali.
Questa problematica è all’ordine del giorno da molti anni, ma è destinata ad acutizzarsi ora che la ripresa economica amplifica le differenze. E questo semmai dovrebbe essere il vero punto unificante da affrontare. Nel senso che la globalizzazione riduce le povertà assolute, ma allarga le disuguaglianze. In questa forbice, si ritrova un nuovo ruolo per ricostruire non tanto impossibili blocchi sociali, quanto una visione degli equilibri politici attenta alla nuova questione sociale rappresentata dalla necessità di un nuovo welfare e di una nuova redistribuzione del reddito e dei servizi.
La demografia, così spinta verso l’invecchiamento della popolazione, tanto da modificare il concetto stesso di “lavoro attivo” e di introdurre la nuova categoria della silver economy, è un altro parametro che cambia la natura stessa dei processi economici e sociali.
È quanto sta accadendo. Il rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese ci ricorda che l’Italia è una sorta di Giano bifronte, sospeso tra oggettività dei dati statistici e soggettività della percezione sociale di quei risultati. Non si è distribuito il dividendo sociale del rilancio economico, spiegano all’istituto di ricerca, e “il blocco della mobilità sociale” dà vita a un clima di risentimento, cresce in sostanza l’Italia del rancore. È questo il contesto nel quale sindacato e politica – soprattutto le forze riformiste e socialdemocratiche – arrancano nel dare risposte a nuovi bisogni, difficili da leggere, interpretare, schematizzare. In economia come nel lavoro, nel sociale come nel delicato terreno dei diritti civili.
51° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2017 https://t.co/049MlxLRtH via @YouTube
— Censis (@FonteCensis) 5 dicembre 2017
Come ci ricordavano, fa in una trasmissione televisiva, due dipendenti della Fiat di Pomigliano nel loro “spiegone operaio” sembra venir meno il legame con il proprio popolo. Ma quale popolo? Quello al quale parla una politica di… sinistra, ancorata a una visione ancora classista, che parla di perdita di diritti e di salario o quello che è alle prese con l’assenza dei nuovi diritti che la precarietà pregiudica o con le strettoie del reddito familiare, fatto non solo di retribuzione ma di servizi? È qui che il sindacato rinasce nella nuova rappresentanza o abdica sempre più alla sua funzione di corpo intermedio, di leva contrattuale, per affidare a una via politica la risoluzione delle criticità del mondo del lavoro.
La nuova dimensione del lavoro
Noi oggi siamo di fronte a un fenomeno più profondo, e cioè che all’evoluzione di tipo tecnologico se ne accompagna anche una di tipo “soggettivo”.
Non possiamo più parlare di una condizione lavorativa che non sia individuale. Uno dei compiti che il sindacato ha in questa fase è che la “non massificazione” si traduca non solo in un individualismo esasperato, ma in una personalizzazione del lavoro. È una differenza non solo semantica, ma di sostanza. L’individualismo indebolisce i legami sociali, altera la propria percezione di stare nel mondo, fa sentire più soli e quindi più deboli. Allontana la necessità del lavoratore e la capacità del sindacato di fare rappresentanza. È necessario cogliere, invece, il contributo in termini di partecipazione e coinvolgimento che la personalizzazione porta al lavoro in termini di nuova autoconsapevolezza di bisogni e aspettative.
Nel rapporto tra i partiti riformisti e il sindacato non bisogna, infatti, trascurare che siamo di fronte a una triangolazione. I lavoratori e il popolo della “sinistra” sono parte attiva di questa difficoltà di interlocuzione e legittimazione reciproca che si ripercuote sul numero di iscritti e sui risultati elettorali. Non solo in Italia. Trump ha vinto in quegli stati operai e tradizionalmente democratici, dove la crisi economica ha più pesato in termini di disuguaglianze e fiducia verso il futuro; la Brexit ha prevalso nelle aree rurali; la Spd ha ceduto terreno alle forze antisistema.
Serve ritrovare un terreno comune, prima nelle parole e poi negli obiettivi. Prendo a prestito le parole di Pierre Carniti, quelle scritte solo pochi giorni fa in una lettera aperta a Cgil, Cisl e Uil:
Sappiamo che le cose sono cambiate e non saranno mai più le stesse di un tempo. Perché la storia accelera e scopriamo non solo di essere in affanno e spesso in ritardo.
Un nuovo cammino, dunque, attende il sindacato e la politica. Non sarebbe la prima volta!