VENEZIA Mai prima d’ora gli elettori di Venezia avevano contribuito così poco alle primarie: 2.473 votanti alle regionali su 7.881 in tutta la provincia, un apporto del 31 per cento. Alle parlamentarie del 30 dicembre 2012 era stato del 38% (5.395 ai seggi su 14mila) e, addirittura per il 42% alle primarie per il candidato premier: 16.650 alle urne sui complessivi 39.422..
Se anche i veneziani si sono stufati delle primarie, non sarà il caso di ripensare anche l’appuntamento del primo febbraio per la scelta del candidato sindaco del centro sinistra? La domanda – e la preoccupazione che il quesito potesse essere compiutamente formulato – ieri rimbalzavano a mezza bocca nel Pd. Ma i parlamentari Felice Casson, Pier Paolo Baretta, Andrea Martella, il segretario Marco Stradiotto, i candidati Jacopo Molina e Sandro Simionato smorzano sul nascere la tentazione di seppellire le primarie veneziane sotto il terreno del non esaltante risultato regionale: si faranno. E siccome il Comune è istituzione più sentita dai cittadini, la partecipazione sarà più significativa, scommettono. La pietra di paragone per le primarie cittadine del primo febbraio 2015 sarà il 2010, quando si confrontarono Giorgio Orsoni, Gianfranco Bettin e Laura Fincato: 12.900 votanti. Qualsiasi altra scelta del segretario, del premier, del governatore, dei parlamentari sono difficilmente comparabili con quella del primo cittadino. «Ma per me il dato dell’affluenza regionale era importante in chiave veneziana – ricorda il segretario metropolitano Stradiotto – ho letto di gente che le voleva per il Comune ma le snobbava per la Regione. Dico: lo strumento c’è? Teniamocelo. E usiamolo in maniera intelligente. Su Venezia non abbiamo ancora una candidatura che dimostra che non ha senso farle». Invece la Moretti data per vincente ha scoraggiato i più. «L’affluenza non è da sottovalutare e conferma la buona salute del partito – premette il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta – se non si va a votare è perché i partiti sono considerati meno appetibili come strumenti di coinvolgimento e perché le primarie sono oggettivamente un po’ inflazionate: ne abbiamo fatte molte». Non vuol dire che vadano accantonate. «Se c’è competizione si fanno e sono una strada naturale – continua – Per non farle, ci vuole una candidatura unitaria». Che sarebbe auspicabile per Venezia. «Me la auguro – sorride Baretta – Ma mi pare difficile: vedo molte legittime aspirazioni». Per questo, invita il deputato Martella, il Pd deve fare una discussione politica sul profilo migliore per competenze, rinnovamento, rapporti con la città, autorevolezza. «Le primarie sono un passaggio ineludibile ma non si fanno per dirimere i problemi interni – ricorda – Si fanno per far partecipare i cittadini alle scelte. Non si va alle primarie perché tutti si candidano, altrimenti, i partiti a che servono? Comunque, se qualcuno sperava nel flop, non è questo il caso». «Ripensarle? Questa idea credo non se la sia sognata nessuno di buonsenso — scuote la testa il senatore Casson – Abbiamo chiesto le primarie in tutte le maniere, Tra tagli e inchieste, usciamo da una situazione politica ed economica complessa ed è giusto che i cittadini siano chiamati a scegliere».Le regole e il programma sono in dirittura d’arrivo, il 10 dicembre è convocata la direzione cittadina. «Sarebbe un’involuzione non farle – avvisa Molina – La partecipazione dipenderà molto dai candidati e sarà maggiore se il Pd mostrerà rinnovamento. E da quel momento si pedala: nulla è scontato, le prossime amministrative dobbiamo guadagnarcele». «Le premesse per un confronto serio ci sono tutte e non vorrei pensare che qualcuno chieda che non si faccia – fa presente Simionato – C’è una crescente disaffezione alle elezioni: questo dovrebbe preoccupare tutti noi».
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