Non chiudiamo a BCE e Imprese

Leggendo la minuziosa lettera che la Bce ha mandato al governo Italiano si capisce perche’ Tremonti l’ha tenuta riservata sino al punto di negarne la consegna allo stesso Parlamento. Di un dettaglio talmente impressionante da apparire addirittura poco rispettosa delle prerogative del governo italiano, ma anche testimonianza di una sfiducia verso le capacita’ del nostro esecutivo di gestire la situazione. Una missiva esplicita, dura, ma, indubbiamente, un’agenda dalla quale e’ irragionevole sfuggire. Per questo e’ bene che se ne discuta. A cominciare dallo scenario prospettato: quello di un Paese in affanno, ma non fuori gioco; che ha davanti passaggi stretti, ma non impossibili; che eccede in manovre e scarseggia in riforme. Se si assume questo punto di vista si vede lo scarto tra quelle indicazioni, alcune delle quali vanno contestate o corrette, e le manovre di ben 60 miliardi approntate dal Governo e, in parte, bruciate dalla reazione dei mercati che non capiscono perche’ l’Italia si ostina a non affrontare di petto la situazione. Non si tratta, dunque, di eseguire degli ordini, ma di assumere i problemi e indicare le nostre non evasive risposte. Come nel caso del pubblico impiego, dove la indicazione della Bce di tagliare gli stipendi e’ francamente deludente, perche’ sappiamo tutti che il vero problema della P.A. non e’ il costo del lavoro, ma la sua efficienza e produttivita’ che si persegue con ben altro respiro. O come per il richiamo al sistema di relazioni e alla maggiore flessibilita’. Con buona pace di tanti (Marchionne compreso) non e’ certo un caso che venga esplicitamente citato l’accordo del 28 di Luglio come il binario dentro il quale innovare. Insomma, con le sue ombre e i suoi paletti, quella lettera indica una strada. Se sappiamo imboccarla potremo decidere noi le tappe e gli esiti. Altrimenti con il commissariamento, arriva il default.

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2011-10-06T18:08:32+02:00 6 Ottobre 2011|Rassegna stampa|

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