L’entusiasmo c’è tutto e non stupisce. Se il piano illustrato ieri dal premier Matteo Renzi dovesse andare in porto, a trovarsi quasi un centinaio di euro in più in busta paga ogni mese, cioé un migliaio in più all’anno, saranno più di un milione di veneti. I lavoratori dipendenti che contano su un reddito inferiore ai 26 mila euro annui (cioé 1500 euro al mese) sono infatti un milione e mezzo e di questi, poco più di 300 mila sono i cosiddetti incapienti (cioè quelli che non pagano l’Irpef perché sotto i seimila euro all’anno).
Restano dunque, secondo i primi calcoli del governo, un milione e ducentomila lavoratori dipendenti (su i quasi due milioni del Veneto) che potranno contare su più soldi per far quadrare i conti di casa e spendere di più. Non è un caso che il Veneto (insieme alla Lombardia, all’Emilia Romagna e alla Toscana) sia uno dei territori maggiormente beneficiato dal piano Renzi. L’obiettivo del governo è quello di far ripartire i consumi dando più liquidità alla classe media che è la più tartassata (in rapporto alla capacità di spesa) dal fisco italiano.
Del peso di questa manovra sono consapevoli anche gli industriali veneti che, fin dall’inizio, hanno sperato che il governo desse priorità ai redditi dei dipendenti piuttosto che vedersi tagliata una quota di Irpef. Il motivo è presto detto: se insieme all’iniezione di liquidità ai consumi verranno pagati i debiti della pubblica amministrazione, le imprese si troveranno di fronte a un aumento delle commesse e alla parziale sterilizzazione dei debiti con i fornitori e con le banche. I due strumenti insieme permetterebbero quindi di rilanciare anche la produzione e gli investimenti facendo uscire il paese dalla palude della crisi.
I condizionali però sono d’obbligo. Renzi ha l’indubbio merito di aver dato una speranza ai veneti – nella regione più litigiosa d’Italia non si era mai visto imprenditori, sindacati, esperti di lavoro, sindaci e insegnanti tutti d’accordo – ma ha anche ipotecato le speranze dei cittadini che non vogliono nemmeno pensare alla possibilità che il piano si infranga sulla mancanza di copertura finanziaria o sulle regole contabili dell’Europa. Per dare una misura di quanto contino i sogni, basta vedere che a palazzo Chigi sono già arrivate le richieste di 97 sindaci per ristrutturare (e ridare dignità) ad altrettante scuole venete, gli entusiasmi degli imprenditori pronti nuovamente ad investire anche grazie allo sconto sull’energia elettrica (secondo la Cgia, se si conferma il taglio del 10% una piccola impresa manifatturiera risparmierà più di ottomila euro all’anno) e i complimenti dei sindacati che finalmente si sentono ascoltati.
A dare copertura (verbale) a questi sogni dei veneti ieri ci ha pensato il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. «Non intendiamo utilizzare l’intero margine del deficit e non supereremo il 3% – dice l’esponente del Pd – Il grosso della manovra per dare più soldi ai lavoratori dipendenti sarà basato sulla spending review».
Alessio Antonini
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