La vittoria di Casson è netta. Non lascia adito ad equivoci. Felice ha saputo interpretare meglio di tutti il bisogno di discontinuità che da tempo è diffuso in città. Una domanda radicata (come il buon risultato di Molina conferma) che la vicenda Mose ha fatto esplodere. La città è rimasta impressionata dalla dimensione dello scandalo, stordita dalla sensazione che tutti – chi più e chi meno – ne fossero coinvolti. Ma, sotto gli scandali, la corruzione, le piccinerie, per i veneziani c’è qualcosa di più profondo. La incertezza sul futuro che appare di declino; il groviglio di nodi irrisolti di portata globale; la sensazione di essere lasciati soli. C’è del vero e no in tutto ciò, ma questo è l’umore di una città smarrita. Diciamolo francamente, in un anno, un lungo anno di attesa da parte dei cittadini veneziani, la politica dei partiti e degli apparati non ha saputo offrire quel riscatto che era apparso subito necessario. Non lo ha fatto nemmeno il Pd, come avrebbe potuto, rinunciando a praticare le due sole strade in grado di dare almeno un segnale del cambio di marcia: o scegliendo un vero rinnovamento generazionale e fuori dalle vecchie logiche che hanno governato per anni le maggioranze interne o favorendo una candidatura interna “forte” che rassicurasse la città e fosse garante di una proposta alta e credibile di governo della città e governasse il rinnovamento. Tutto ciò non è accaduto. Tant’è che la maggioranza del Pd si è trovata, alla fine, a parteggiare o per un autorevole “oppositore” interno, Casson, che pur essendo tutt’altro che un neofita della politica ne ha interpretato la parte (a dimostrazione che non è l’età che determina il risultato!) o per un “esterno”, Pellicani, che nonostante ciò e nonostante la sua volonterosa ed autonoma campagna elettorale è stato percepito come la continuità, anche a causa delle oppressive sponsorizzazioni che gli hanno impedito di volare da solo. Onore delle armi, comunque, a Nicola Pellicani che ha avuto il coraggio di affrontare una sfida chiaramente difficile, l’ha condotta con intelligenza e passione, ma che è stato penalizzato anche dai tempi stretti della sua candidatura.
Si apre ora una fase diversa: quella nella quale, nel giro di poco tempo, di giorni, spetta a Casson il compito di fare proposte, sia verso il Pd, sia verso la coalizione, per poter poi rivolgersi alla città col massimo consenso possibile. Giustamente egli ha voluto ribadire, subito dopo la vittoria, di non essere il signor no. Al contempo, la copertura “a sinistra” non gli manca. Contenuti propositivi ed interlocuzione più ampie vanno, dunque, verificati e costruiti subito, prima che oltre il centro sinistra ci si muova – e non necessariamente da destra – alla ricerca di quella parte di elettorato che non ha votato alle primarie.
Le primarie non sono un congresso di partito, ma se lo fossero (ed in parte è così, non fingiamo!), si vedrebbe come gli equilibri sono cambiati, come da tempo si avvertiva. Bisognerà pur farla questa riflessione… Se, invece, fossero un sondaggio di opinione ci direbbero come sia finita un’epoca per il centro sinistra veneziano ed i suoi padri nobili. Una nuova classe dirigente deve affacciarsi nella vita pubblica della città, figlia soltanto delle proprie idee e di un rapporto nuovo con i veneziani di oggi e di domani.
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