Il quotidiano “l’Unità” pubblica una riflessione del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.
Partito, movimenti e sindacati (dei lavoratori e degli imprenditori) vivono una debolezza strategica e di rappresentanza indotte dalla scomparsa, nel mondo globale, dei confini fisici, ma non di quelli identitari (religiosi, sessuali, etici) e dalla nuova distribuzione geo tecnologica (la vecchia “divisione internazionale del lavoro”!). In questo nuovo mondo cresce la dimensione personale (non tanto “individuale”) rispetto a quella collettiva, o “di massa”, tipica della società fondista.
Di fronte a tale portata di eventi è scomparso dall’orizzonte lo storico, ideologico conflitto tra capitalismo e socialismo; ma, a ben vedere, non tiene nemmeno il nobile confronto tra liberismo e socialdemocrazia. Da un lato, il profitto come fine ed il mercato come assoluto non reggono alle nuove sfide competitive, che sempre più inglobano fattori socio-ambientali (la Volkswagen cade nel mercato non per un difetto nel prodotto, ma perché ha barato sull’ambiente). Ma, dall’altro, di fronte alla pressante richiesta di milioni di “nuovi” cittadini del mondo, finora esclusi, di sedersi al tavolo della emancipazione e della crescita (mentre si riduce la povertà assoluta globale, ma aumentano le disuguaglianze; anche dentro le società più ricche) non basta più tosare la pecora; bisogna aumentare le pecore e la lana. Cioè: i problemi della formazione della ricchezza e della accumulazione sono fondamentali per operare una prospettiva di giustizia sociale e di benessere diffuso. Come dimostrano le emergenze del cibo, dell’acqua e della energia.
Si pongono, dunque, per la politica in generale, ma per i riformisti soprattutto, nuove sfide sia nel pensiero che nell’azione.
Nell’ultima direzione del Pd, a fronte di una affermazione di Renzi su Corbyn, qualcuno ha replicato parlando di “disastro blairiano”. Ma, se c’è stato un errore grave della sinistra italiana è proprio quello di aver contrastato l’apporto che la “terza via” poteva dare alla costruzione di un pensiero sociale ed economico moderno e contemporaneo. In qualche modo ci provò il primo governo Prodi; poi il Lingotto, con Veltroni, ma furono tentativi fermati dal prevalere di una idea “conservatrice” nel campo “progressista”.
Nel frattempo il mondo è cambiato ancora e le sfide si sono fatte più urgenti. Oggi si avvertono fermenti nuovi. A cominciare dalla Chiesa cattolica, che con la “Laudato sì”, di papa Francesco, compie un salto di qualità straordinario della stessa dottrina sociale, oltre i parametri tradizionali del conflitto capitale-lavoro. La stessa emergenza umanitaria – che è stata al centro del discorso del Presidente del Consiglio all’ONU – è un drammatico, quanto straordinario, banco di prova di una nuova visione del mondo nella quale diritti, solidarietà, disponibilità di risorse e loro redistribuzione fanno parte di un unico modo di costruire una migliore governance globale e locali.
La stagione politica italiana, sta vivendo, in questo scenario, un nuovo dinamismo e la linea renziana di scuotere l’albero fa cadere rami secchi ma, anche, raccogliere frutti.
Insomma, tanto più perché avvertiamo segnali di ripresa, abbiamo bisogno di dare respiro ad una prospettiva culturale e politica che sostenga un nuovo riformismo.
Pier Paolo Baretta
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