«La copertura? Siamo più che coperti». Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, riconfermato nello stesso ruolo che aveva nel governo Letta, sciorina le cifre… «La riduzione del 10% dell’Irap è spesata dall’aumento delle imposte sulle rendite dal 20 al 26%, che darà un gettito di 2,4 miliardi. Dalla spending review, ossia dalla razionalizzazione della spesa pubblica, Cottarelli prevede di recuperare 34 miliardi in 3 anni. Quest’anno saranno dai 5 ai 7…
Un attimo, già qui i numeri ballano, il commissario ne ha previsti solo 3 per il 2014…
«Anche noi facciamo i conti su 3, per quanto ovviamente speriamo che siano di più. Siamo prudenti perché ci vuole tempo per portare a regime i tagli, servono i provvedimenti applicativi, bisognerà superare resistenze. Lo sappiamo. Altri 2,5 miliardi arrivano dal calo dello spread. Il costo di finanziamento del debito pubblico italiano è sceso e questo libera risorse…»
Ma non è una copertura strutturale. Nel mercato dei titoli di Stato europei c’è bonaccia, perché la tempesta oggi si abbatte su altri, come la Turchia. Però se il vento cambia, con nostro debito “monstre” siamo vulnerabili…
«E infatti il ministro Padoan ha detto giustamente che l’utilizzo di risorse liberate dalla diminuzione del costo di finanziamento del debito pubblico è transitorio. L’obiettivo è sostenere tutto con la spending review. Ma proseguiamo. Il terzo pilastro della copertura è l’aumento del gettito dell’Iva ottenuto con il rimborso dei debiti della Pubblica amministrazione. Sono 68 miliardi. Abbiamo stimato un introito aggiuntivo di 1,5 miliardi. Il quarto punto è la possibilità di elevare il deficit dal 2,6 al 3%. Lo 0,1% di Pil equivale a 1,6 miliardi. Quindi sarebbero disponibili almeno altri 3,4 miliardi…».
Bruxelles non la prenderà tanto bene. Già la Bce si è premurata di avvertirci di non scassare il rapporto deficit Pil…
«Rispetteremo i vincoli. Il premier Renzi ha ribadito che il disavanzo resterà sotto il 3% e che solo in parte, se si renderà necessario, ricorreremo a questo capitolo. Ma la manovra è spesata. Poi, parlamoci chiaro, stiamo facendo una scommessa. Dobbiamo imprimere una svolta, perché il Paese non può andare avanti così. L’economia è numeri, ma è anche fiducia, aspettative.
Vuol dire che la “renzinomics” scommette sulle attese positive che lui stesso suscita?
«Dico che sa parlare alla gente e sa farsi capire. Oggi per strada, nei bar, si discute della manovra. Ha spiazzato i giornali che erano abituati a presentazioni paludate. La gente invece non guarda al pesce rosso nella vasca, ma alla propria busta paga».
Tuttavia i provvedimenti sono ancora sulla carta. Gli effetti sull’Irpef si vedranno il 27 maggio…
«Sì però Renzi ha detto chiaro: “se non passano la manovra e le riforme istituzionali, la nuova legge elettorale, l’abolizione del Senato, è colpa mia. Non scarico le responsabilità sugli altri, me ne vado”. Il governo si gioca tutto. Se non c’è la formalizzazione immediata delle misure è perché le nuove regole di contabilità nazionale impongono che lo scostamento del deficit dal 2,6% al 3% sia approvato preventivamente dal Parlamento».
Anche i sindacati sono stati spiazzati. Erano partiti con i tamburi di guerra e hanno finito per suonare le fanfare…
«Ho letto commenti positivi della Camusso, di Bonanni. E anche della stessa Confindustria. Del resto gli imprenditori veneti non avevano fatto mistero di preferire un taglio dell’Irpef, che rimette in moto i consumi, ad una manovra totalmente centrata sull’Irap. Ma ad essere spiazzato è chi pensava di utilizzare Renzi per scardinare le regole della rappresentanza. Invece il governo ha chiaro in testa che c’è un’autonomia delle parti sociali e c’è un’autonomia della politica».
Come mai Renzi ha potuto mettere 10 miliardi in busta paga e darne 2,4 alle aziende con lo sconto Irap e 1,4 di riduzione della bolletta elettrica per le piccole e medie imprese, quando Letta si è dannato l’anima per trovarne 4 con cui tagliare l’Imu?
«Perchè la situazione nel 2013 era peggiore. L’anno scorso abbiamo dovuto impegnare 5 miliardi per ridurre l’imposta sugli immobili e questi sono stati tolti all’economia reale. Sbagliando. Poi, rispetto all’anno scorso, lo spread è sceso. Ma la vera differenza è la volontà di dare una scossa, di rendere immediatamente spendibili le risorse, di destinarle tutte e subito alla crescita. E in questo c’è Renzi. Il suo messaggio è chiaro: vogliamo cambiare il Paese, se non ce la facciamo è colpa nostra. Ma anche chi frena ci mette la faccia e se ne assume la responsabilità».
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