Giona, la sindrome o il segno?

PARROCCHIA DI CAMPALTO Il capitolo terzo del libro di Giona: il rapporto tra il battezzato laico e la politica GIONA: LA SINDROME O IL SEGNO? relazione di Pier Paolo Baretta (21 marzo 2015)

1) Responsabilità e perdono.

“A quella vista ….ebbe un’allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un’ette che non cadesse in delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioia e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare: “Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!” “Dunque gli occhi mi dicono il vero?” replicò il vecchietto stropicciandosi gli occhi, “Dunque tu se’ proprio il mi’ caro Pinocchio?” “Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete digià perdonato, non è vero? Oh! babbino mio, come siete buono!… e pensare che io, invece…” Spero non si consideri irriverente se apro questa riflessione sul capitolo terzo del libro di Giona con il famoso brano di Collodi nel quale Pinocchio incontra, dopo tante peripezie, Geppetto, inghiottito nel ventre del pescecane, proprio come succede a Giona. Forse lo faccio per compensare, con questo incipit di leggerezza, l’angoscia provata nel vedere le immagini sconvolgenti, che ci sono giunte da Mosul, l’antica Ninive, sulla distruzione dei monumenti, delle statue. Una violenza esercitata contro la Storia; la nostra storia, la storia della umanità; questa storia di cui parliamo stasera. La stessa moschea di Giona e quella che si pensa fosse la sua tomba sono state distrutte. Il racconto di Collodi, però, è tutt’altro che frivolo! E l’accostamento ci può, addirittura, aiutare ad avvicinarci, con leggerezza appunto, all’altro, ben impegnativo, racconto: quello di Giona. Insomma, una favola per capire una parabola… perché la storia di Giona è chiaramente una parabola che ci racconta della infinita misericordia di Dio. Geppetto, dunque, finisce per trovarsi, come Giona, nel ventre del “grande pesce” (e, in verità, la Bibbia non dice mai balena, ma solo “grande pesce”). Diversamente da Giona, che è scappato, Geppetto ha inseguito Pinocchio come se fosse la sua Ninive, non ha rinunciato a cercarlo per perdonarlo e riscattarlo a nuova vita. La chiave della favola collodiana sta nella presa di coscienza – finalmente e inaspettatamente – da parte di Pinocchio delle sue colpe, come avviene – inaspettatamente – per i cittadini di Ninive. Ed è con la assunzione delle proprie responsabilità che si concretizza il perdono del… Padre. L’amore del padre verso il figlio è illimitato, fino al sacrificio. Anche il Signore ha cercato Giona, non lo ha lasciato fuggire e lo costringe a redimersi. Quante volte Pinocchio è fuggito dalla chiamata; anziché andare a scuola se ne è andato nel Paese dei balocchi, proprio come ha fatto Giona che se ne va in Spagna, lontano, molto lontano da Ninive, dove avrebbe dovuto andare. In entrambi casi, però, succede un fatto. il pesce: il grande pesce segna la svolta, perché dopo il passaggio per le viscere, per il grande buio, dopo… tutto è diverso: Pinocchio va a scuola e Giona va a Ninive. Sappiamo come finisce la storia: la responsabilità ed il perdono trasformano e il burattino diventa uomo! Ecco, ringraziamo Pinocchio (e anche Geppetto e Collodi) per averci aiutato ad introdurci, senza patemi, nel ventre del grande messaggio biblico. 2) Generazione malvagia; La trama la conosciamo: Giona viene inviato da Dio a predicare a Ninive, città del peccato, per convertirla. È interessante notare che la definizione biblica di Ninive è la “grande città”, quasi che ci fosse un parallelo, che noi moderni ben comprendiamo, tra dimensione e dissoluzione. Giona, però, non condivide che Dio salvi i pagani, che avevano, addirittura, appena occupato Israele, e se la svigna lontano; ma Dio non ci sta e fa sì che il viaggio per nave sia rovinato da una grave tempesta. Giona capisce che è Dio ad averla mandata a causa del suo tradimento e lo confessa ai compagni di viaggio che, per salvarsi, lo gettano a mare. Inghiottito da un grande pesce ci vive dentro tre giorni e tre notti e poi chiede a Dio di salvarlo. Dio lo esaudisce, ma lo rimanda a Ninive. Giona stavolta ci va e sorprendentemente riesce a convertirla. Così Dio si impietosisce e la salva, Ma Giona resta contrario a questa soluzione e chiede di morire. Il Signore, però, prima lo protegge poi lo affligge, facendo crescere ed insecchire, accanto a lui, un ricino. Giona si allieta prima e, poi, si arrabbia per la sorte della pianta e chiede nuovamente di morire. A questo punto, il Signore gli parla e spiega il senso di tutto ciò: se Giona si accalora così tanto per la sorte del ricino, perché Dio non dovrebbe accalorarsi per la sorte di Ninive? La salvezza e la misericordia di Dio travalicano i nostri parametri, non hanno confini o pregiudizi. Siamo, così, già giunti al cuore della nostra riflessione, a quel “segno di Giona”, come lo chiamano i Vangeli. Dal Vangelo secondo Luca 11,29-32: “In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. …… Quelli di Ninive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c’è qui”. È molto forte questo brano. La generazione malvagia, (capita ad ogni generazione di essere anche malvagia), dice Gesù, cerca un segno, ma è cieca, perché c’è l’ha davanti e non lo vede. E, allora, a causa di questa cecità sarà condannata. Ma da chi? Addirittura da quelli di Ninive! I peccatori pentiti e perciò salvati, acquisiscono, in ragione di ciò, il “diritto” di condannare la generazione malvagia. Una vera umiliazione per i contemporanei di Gesù! 3) Clemente e Misericordioso; Ma, nel richiamo a Ninive, Gesù esplicita il Suo messaggio: alla generazione malvagia, condannata, è offerta una opportunità: gli viene offerto il segno di Giona; anzi, dice Gesù – imprimendo così la svolta decisiva nella storia della salvezza – “ben più di Giona è qui”; da oggi in poi ci sono io! Il segno di Giona è, dunque, ambiguo; bisogna interpretarlo. Giona, infatti, quando arriva a Ninive porta un segno di condanna. Gira per la grande città e dice: “tra 40 giorni Ninive sarà distrutta”. E si ferma lì; non dice altro. Un brutto segno! Fà un annuncio. Ma: emette una sentenza o lancia un avvertimento? Spetta agli abitanti di Ninive comprenderlo, interpretarlo. infatti, nelle grida di Giona non c’è alcuna promessa di salvezza. È il libero arbitrio degli abitanti di Ninive, che si pentono – potremo dire… senza condizioni – a far scattare il piano della salvezza: la redenzione attraverso il pentimento, la salvezza attraverso il riscatto, la nuova vita, la Resurrezione attraverso la morte. Come per il Dio di Giona, così per Gesù, la salvezza è a disposizione di tutti, non solo per i credenti, anche per i pagani. È questo il punto chiave ed anche il più difficile per Giona da accettare. Giona rifiuta coscientemente questo approccio; si ribella, perché non accetta il disegno di Dio. Lo capisce, anzi sa, che Dio è clemente e misericordioso, ma non condivide questo tratto della personalità divina. Preferisce l’altro tratto: quello del Dio degli eserciti, vendicativo, che distrugge il nemico e lo annienta. C’è, nel caso di Giona e del suo tempo, un disegno politico dietro a ciò. Il Dio di Israele deve distruggere i nemici del suo popolo, cosi che Il regno di Israele diventi la Nazione più potente della terra. La Storia è satura di queste strumentalizzazioni della divinità a fini politici. Il principio che ispira Giona è, diremo oggi, fondamentalista. 4) La sindrome di Giona Ma tutto ciò riguarda solo Giona? O anche noi? Come è faticosa da accettare la parabola del figliol prodigo… Per noi meritocratici, efficientisti, condizionati da una visione della vita economicistica, non gratuita dei rapporti… In tutto ciò non c’è niente di epico; tutto ciò è presente nella nostra vita; non solo come fattori eccezionali, straordinari, ma ogni giorno, nella normalità della nostra quotidianità. Ogni giorno, spesso nella nostra disattenzione o indifferenza, siamo chiamati ad andare a Ninive, la grande città, e, ogni giorno partiamo per la direzione opposta. Ed è in questa caratteristica così diffusa, che si innesta quella che definiamo la “sindrome” di Giona. La idea radicata, cioè, di essere nel giusto, dalla parte giusta. Di disporre della verità e di conseguenza di poter agire in nome della verità. Anche questo atteggiamento è un fenomeno quotidiano, di vita comune, di normale convivenza. In famiglia, nei luoghi di lavoro, per strada, in automobile… 5) Il segno di Giona; Ma, alla sindrome di Giona, che pensa che bisogna farli fuori, i pagani, i diversi, gli “altri”, in nome di Dio, il Signore risponde, come spesso fa, usando Giona, strumentalizzandolo, facendolo, cioè, …strumento; facendo di Giona il portatore di un segno. E che succede? L’imprevedibile; quelli si pentono e la reazione di Dio è sconvolgente: si impietosisce! La scelta dell’uomo che prende coscienza delle sue responsabilità è così potente da intervenire su Dio e condizionarlo. La risposta di Dio diventa, a questo punto, universale, diremo ecumenica, Insomma, le nostre giornate passano tra il segno e la sindrome di Giona. Così si consuma, in questa inesorabile dialettica, la nostra normale lungimiranza e la nostra normale ottusità. Quanto prestiamo attenzione a ciò? Francesco, nella sua meditazione del 15 ottobre scorso, ci esorta a distinguere tra la sindrome di Giona ed il segno di Giona. 6) il re di Ninive, ovvero la Politica. La politica non è diversa, anzi esaltale situazioni; fa esplodere questa dialettica e se, nella vita personale, la contraddizione può restare celata in una prassi radicata di ripetitività, in politica no. Siamo chiamati a scegliere ogni momento e le opzioni sono palesi, davanti a noi. Così è successo al Re di Ninive che, preso coscienza di quanto stava accadendo, segue il suo popolo nella penitenza. Ma, attenzione, fa anche un gesto politico: proclama – potremo dire così – lo “stato” di penitenza per tutti, nella speranza che ciò abbia effetto su Dio. Beh, ha funzionato! Devo dire che per il politico non è facile scappare. Lo facciamo; certo che lo facciamo; ma la responsabilità di farlo è senza alibi; o meglio, ci costruiamo degli alibi, ma sono clamorosamente fragili. Noi fingiamo che siano alibi di ferro, ma lo sappiamo che sono di latta. Perché la politica ti fa vedere lucidamente le cose; è il potere fine a sé stesso che, le offusca; è la ideologia come presupposto, condizione identitaria, autoreferenziale e non come valore, che semmai ci impedisce di distinguere tra il bene comune ed il bene proprio… Questa, in politica, è la sindrome di Giona! Nel famoso discorso di apertura del Concilio Giovanni XXIII ci offre un altra interpretazione della sindrome di Giona, quando ci invita a diffidare dei profeti di sventura. Vale la pena rileggere il brano, nel contesto della riflessione che stiamo facendo su Giona, tra sindrome è segno. “Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.” 7) I segni dei tempi; Ma, il segno? Abbiamo dei criteri, delle mappe, delle rotte per orientarci nella Storia? È ancora papa Giovanni ad aiutarci con l’altrettanto famosa proposta dei “segni dei tempi”. L’importanza dei segni dei tempi, come categoria interpretativa, è data dalla novità che introduce nell’approccio dei cristiani con la Storia e, dunque, con la politica, per la prospettiva storica che ci propone. Sono, cioè, i segni incarnati, non intimistici; segni dinamici, non statici; segni di accoglienza non di rifiuto. Ma i segni dei tempi vanno interpretati, con quale metro di misura? La risposta per noi cristiani impegnati in politica è ancora lì, nello straordinario incipit della Costituzione Gaudium ed spes: “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi”… sono anche le nostre. Ecco, dunque, che la mappa prende forma attorno a 4 punti cardinali con i quali il politico deve fare costantemente i conti. – La tentazione della fuga: rischio frequente. La fuga dalla responsabilità. Ci sono molti modi, in politica, per fuggire. Il più diffuso è non decidere, rinviare, glissare, omettere. L’altro è decidere non per il merito, ma per le pressioni. Non bisogna confondere le pressioni lecite, che ci stanno nella legittima e trasparente rappresentanza degli interessi e che possono anche produrre mediazioni, con le pressioni illecite che producono corruzione o pecuniaria o morale. – La grande città. La globalizzazione è la grande città contemporanea. Che intuizione quella biblica! La contraddizione della globalizzazione sta nel fatto che ha ridotto la miseria estrema per milioni di persone, ma ha aumentato le disuguaglianze. Servono, dunque, nuove politiche di sviluppo e di crescita. Personalmente non condivido le estremizzazioni: o crescita illimitata o decrescita felice. La prima è fallita, con l’illusione del libero mercato che si auto regola e il consumo di risorse naturali, ambientali ed umane che ci ha portati vicini al disastro. La decrescita felice, per il significato politico che ha assunto è, se posso essere brutale, roba per ricchi; per chi se la può permettere. Finché, infatti, ci saranno poveri ed emarginati il nostro compito è crescere e redistribuire, Questa crisi lunga dalla quale veniamo (sette anni) ci ha offerto opportunità che stiamo perdendo. Gli americani hanno un modo di dire: “non buttiamo via la crisi”. Tra le occasioni perse penso alla battaglia contro la austerità, intesa come eccesso di rigore economico. Invece, il concetto di austerità, o se preferite sobrietà, era, ed è ancora, a mio avviso, la strada da praticare per un modello di crescita migliore e più equo. Un modello che interrompa la spirale consumistica che ci pervade, ma senza cadere nel pauperismo. Teorizziamo pure il benessere (cioè la crescita), anzi e teorizziamolo per tutti. Ma, per favore, riduciamo lo spreco, che non ci serve. In questo mini modello che vi propongo, assolutamente praticabile, c’è spazio per i consumi, così che la nostra società non crolla, in verità, c’è anche spazio per un po’ di superfluo… ma togliamo di mezzo lo speco e riconvertiamo il differenziale che ne consegue. Sprechiamo 100 chili di generi alimentari a testa (nel senso che li buttiamo letteralmente nella spazzatura!), sprechiamo quantità impressionanti di acqua e di energia. – Il grande pesce. Il buio, la solitudine, il nostro buio, la pancia del pescecane. Siamo soli? Al buio? Soli talvolta si! Il politico spesso è solo. Anche al buio, nel senso di smarriti, persi. Accettiamo con serenità questa condizione angosciante. Ma non isoliamoci in noi stessi. Creiamo una dimensione di gruppo, collettiva. C’è sempre la gente… – Il peccato e la conversione. Cadiamo e risorgiamo ogni giorno. I peccati dei politici più seri e diffusi – la nostra sindrome – sono l’ignavia e l’arroganza, la codardia e la sicumera. La nostra conversione politica – il segno – è la fiducia, nelle persone, nel futuro. Fiducia nell’umanità. Ecco, ancora una volta concludo le mie riflessioni con una frase della Popolorum Progressio che trovo bellissima. Paolo VI scrive: “Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma, come le ondate dell’alta marea penetrano più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza nel cammino della Storia”. (PP: 17) L’umanità tutta, tutta intera. Questa è la vera politica!

2015-03-26T12:36:54+01:00 26 Marzo 2015|Comunicati stampa, In evidenza, News, Notizie dal Veneto|

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