IL CORAGGIO (POLITICO) DI UNA RIFORMA
Il 7 settembre 2017 si è concluso in Conferenza unificata un lungo e proficuo percorso di dialogo e confronto con regioni ed enti locali che ha portato all’intesa per il riordino del gioco pubblico. Si tratta di un risultato importante per tutti. E che apre a nuove responsabilità.
Per un anno e mezzo, con Regioni ed enti locali, abbiamo tenacemente perseguito l’intesa, nonostante in più circostanze poteva sembrare che mancassero le condizioni. Ma proprio l’unanimità di intenti che abbiamo raggiunto rappresenta la grande forza dell’accordo, capace di riportare a un alveo di normalità un settore che rischiava una pericolosa deriva. Si tratta del primo significativo tassello di una strategia complessiva di riforma del settore che sancisce una vera inversione di tendenza. La tutela della salute, la sicurezza pubblica e il contrasto all’illegalità sono da oggi un obiettivo generale del Paese. Ripartiamo da un accordo che fornisce un quadro nazionale unico, che rispetta le autonomie locali, che contribuisce a ridurre l’offerta, che tutela i cittadini e gli investimenti esistenti e garantisce certezze di prospettiva a un settore che da molto tempo attendeva nuove regole.
#giochi #azzardo Accordo risultato importante, frutto di un lungo, ma costruttivo lavoro di dialogo. Ora #online https://t.co/QRLr5SV8M3 pic.twitter.com/3CPWNWcbRB
— Pier Paolo Baretta (@PPBaretta) 7 settembre 2017
I numeri e il metodo
Nel 2016, il gioco pubblico ha garantito alle casse dello Stato entrate erariali pari a 10,5 miliardi di euro, con una spesa da parte dei cittadini che si è attestata a 19,4 miliardi. Si tratta di cifre consistenti, che permettono, già a una prima analisi, di comprendere qual è il peso del settore nell’economia italiana. Negli ultimi anni, accanto all’aumento della raccolta (+13,6% in due anni) e delle entrate (+27% nello stesso periodo), è cresciuta in ampi settori, dal volontariato alla politica fino alla società civile, una sensibilità che ha fatto sì che non potessimo più considerare il gioco pubblico solo e unicamente dal punto di vista delle entrate fiscali. Sono stati, in primis, società civile e mondo del volontariato a cambiare i termini del problema, imponendo nel dibattito la necessità di intervenire per limitare le conseguenze di un’offerta esagerata che rischia di colpire, prima di tutto, il legame sociale.
In questo contesto, sulla base di un’indicazione del Parlamento, il Governo fece sua due anni fa l’esigenza di riorganizzare il settore dei giochi. Si era creata una situazione anomala: all’inizio degli anni 2000, mossi dalla giusta esigenza di combattere l’illegale, alla fine si era davvero esagerato con la diffusione del gioco legale. Prima con la delega fiscale, mai esercitata, e, in seguito, con la legge di stabilità 2016 il Parlamento diede mandato al Governo che affidò al confronto in Conferenza unificata il compito di dare vita a una prima riforma del gioco pubblico. È con questo spirito che, oltre ovviamente agli Enti locali, ho incontrato, a più riprese esperti del settore, nonché esponenti di Associazioni laiche e cattoliche (Monsignor D’Urso, Monsignor Feroci, il professor Fiasco, don Zappolini, i rappresentanti di Mettiamci in gioco). Ed ho, inoltre, volentieri, accettato la proposta di Vita di rendere pubblico e trasparente ogni passaggio di questa vicenda.
Cosa prevede l’accordo
Il compito affidato dal Parlamento al Governo, con l’articolo 14 della delega fiscale prima e con la legge di Stabilità poi, non è proibire il gioco, ma riportarlo a una dimensione normale della vita delle persone, mettendo un freno all’eccesso di offerta che si era determinato a partire dalla metà degli anni 2000, nel pur giusto tentativo di arginare il gioco illegale.
Si tratta di un evidente ed importante cambio di mentalità, anche da parte dello Stato, che riconosce i limiti del passato e, finalmente guarda al futuro non solo con l’occhio alla, pur non trascurabile, dimensione finanziaria. Va in questa direzione la decisione del governo, inserita nella manovra correttiva di aprile, di tagliare del 35% le slot machine, che passeranno da oltre 400mila a 265mila, entro aprile 2018 (tab. 1). A ciò si aggiunge il dimezzamento, in tre anni, dei punti gioco, dagli attuali 98mila a circa 50mila. Una scelta, questa, che, nella battaglia contro gli effetti negativi dell’eccesso di gioco, che il governo ha fatto propria, non si limita a controllarlo o, al più … spostarlo altrove, ma va al cuore del problema: ridurre in modo così significativo la possibilità di giocare, e, perciò, tagliare l’offerta di gioco pubblico.
Tabella 1 – Ipotesi riduzione slot in base a distribuzione territoriale
Regione | Nr. Apparecchi attivi in esercizio al 31/07/2015 | Nr. Apparecchi attivi in esercizio al 31/12/2016 | Nr. Apparecchi attivi al 30/04/2018 |
ABRUZZO | 10.201 | 10.917 | 7.141 |
BASILICATA | 3.730 | 4.030 | 2.611 |
CALABRIA | 16.853 | 17.735 | 11.797 |
CAMPANIA | 39.171 | 41.876 | 27.420 |
EMILIA ROMAGNA | 31.781 | 35.530 | 22.247 |
FRIULI VENEZIA GIULIA | 8.466 | 9.107 | 5.926 |
LAZIO | 37.831 | 41.765 | 26.482 |
LIGURIA | 10.129 | 10.702 | 7.090 |
LOMBARDIA | 58.790 | 63.287 | 41.151 |
MARCHE | 9.396 | 9.935 | 6.577 |
MOLISE | 2.449 | 2.633 | 1.714 |
PIEMONTE | 27.284 | 28.746 | 19.099 |
PUGLIA | 23.296 | 25.067 | 16.307 |
SARDEGNA | 13.816 | 15.084 | 9.671 |
SICILIA | 20.101 | 21.544 | 14.071 |
TOSCANA | 22.941 | 24.098 | 16.059 |
TRENTINO ALTO ADIGE | 4.020 | 4.330 | 2.814 |
UMBRIA | 5.319 | 5.911 | 3.723 |
VAL D’AOSTA | 749 | 798 | 524 |
VENETO | 31.786 | 34.228 | 22.250 |
Totale | 378.109 | 407.323 | 264.674 |
Dove e come opererà nel territorio questa ridotta offerta di gioco pubblico?
E, qui, dopo aver cercato una strada di regolamentazione condivisa delle distanze – senza successo, date le troppe divergenze – ho deciso di accogliere la proposta del mondo dell’associazionismo di lasciare alla piena responsabilità delle Regioni e dei Comuni la scelta di decidere dove debbano operare i punti gioco rimanenti, dopo il dimezzamento previsto. Perché, nell’affermare la piena competenza degli enti locali nel decidere dove vanno collocati i punti vendita, insistiamo perché si tenga conto degli investimenti già effettuati e, soprattutto, di una distribuzione equilibrata nel territorio? Innanzitutto perché vogliamo una migliore qualificazione dell’offerta di gioco che proponiamo avvenga attraverso una certificazione obbligatoria che preveda la formazione degli addetti, il rispetto di norme civiche stringenti, quali la visibilità del punto vendita, il controllo dell’accesso, la qualità dei locali, ecc. Anche perché il rischio che c’è in talune decisioni sulle distanze è quello, da un lato, di creare delle zone urbane molto ampie nelle quali sono totalmente assenti punti vendita del gioco pubblico, a beneficio del gioco irregolare; ma, dall’altro, il rischio opposto, quello di dar vita a veri e propri quartieri a luci rosse del gioco, collocati in aree periferiche già fortemente degradate e prive di servizi, così come è avvenuto in tante città italiane.
Ho letto che un comune di media grandezza ha individuato ben 114 punti sensibili dai quali dovranno stare lontani, dentro e fuori le mura cittadine, i punti gioco. Dove finiranno a giocare i giocatori del lotto? Nel comune vicino? E se questo adotta gli stessi criteri? Qualcuno sostiene che così facendo si finisce per proibire ovunque il gioco. Ma è esattamente questo il punto che va chiarito una volta per tutte. Una linea proibizionista non fa sparire del tutto il gioco, al massimo lo… nasconde. Non è questo lo scopo del lavoro che è stato chiesto dal Parlamento al Governo. Combattere la ludopatia, contrastare il gioco illegale, limitare e controllare quello legale, qualificarlo e regolamentarlo, è il mandato che abbiamo avuto. Siamo andati oltre, cogliendo una nuova cultura civica che dovrà svilupparsi in nuove battaglie per il controllo del gioco online e per la riduzione, se non addirittura l’eliminazione, della pubblicità.
Una strategia di questa portata necessità di una forte collaborazione tra lo Stato centrale e quello locale, le associazioni e la società. Per questo abbiamo stabilito che agli Enti locali, oltre alla responsabilità di decidere l’equilibrata distribuzione dei punti gioco pubblico rimanenti, vanno affidati anche compiti di polizia e di vigilanza, a tutela del loro stesso territorio. Si veda, a questo proposito, la prerogativa data ai comuni di fermare per sei ore le slot durante la giornata.
L’accordo prevede, inoltre, l’introduzione della tessera sanitaria per giocare e l’accesso selettivo ai punti di gioco per la tutela dei minori, la riduzione da 500 a 100 euro la immissione nelle Vlt; il richiamo alle previsioni contenute nel documento redatto dall’Osservatorio per il contrasto del gioco patologico del Ministero della Salute, l’innalzamento dei sistemi di controllo, il costante monitoraggio dell’applicazione della riforma, anche attraverso una banca dati sull’andamento del volume di gioco e sulla sua distribuzione nel territorio, alla quale possono accedere i Comuni.
Verso un nuovo modello di gioco pubblico
È solo l’inizio. È questa la certezza con la quale ci siamo lasciati al termine della riunione della Conferenza unificata dello scorso 7 settembre. L’intesa appena raggiunta sul gioco, infatti, apre una nuova fase nell’approccio che tutti gli attori istituzionali dovranno avere d’ora in avanti.
Alla politica centrale, perché, nella battaglia contro gli effetti negativi dell’eccesso di gioco, che il governo ha fatto propria, non si limita a controllarlo o, al più … spostarlo altrove, ma va al cuore del problema: ridurre in modo così significativo la possibilità di giocare, e, perciò, tagliare l’offerta di gioco pubblico.
Alle Regioni e agli Enti locali, alle quali spetterà la sfida della piena responsabilità nella dislocazione territoriale equilibrata dei punti vendita, dopo il dimezzamento previsto dalla riforma.
Al mercato, perché la riforma imporrà nuovi modelli economici di aggregazione e concentrazione dell’offerta.
Alla società civile e al mondo dell’associazionismo, chiamato a proseguire nel suo lavoro di stimolo e di pungolo affinché Governo, Regioni ed enti locali possano perseguire l’obiettivo di difesa del bene comune.