Si è aperto ieri a Verona il Festival della dottrina sociale. Il sottosegretario Baretta, che non è riuscito a essere fisicamente presente all’evento, ha inviato una lettera agli organizzatori.
Buongiorno a tutti,
desidero innanzitutto scusarmi per non poter essere oggi con voi e ringrazio Don Adriano Vincenzi non solo per l’invito al convegno, ma soprattutto per la possibilità di riflettere su un tema che ci impone di guardare avanti, di mettere in gioco il desiderio individuale e collettivo di cambiamento.
Si tratta di un obiettivo ancor più sfidante in un momento in cui i numeri ci dicono che il nostro Paese si avvia sulla strada di una ripresa economica che mostra crescenti segnali di irrobustimento strutturale. Eppure esiste uno scarto tra i dati oggettivi e la percezione soggettiva. Non sfugge agli analisti più attenti quanto la ripresa economica non sia percepita dalle famiglie, dalle imprese, soprattutto le più piccole. La gravità della crisi che abbiamo vissuto, gli squilibri finanziari, la resistenza al cambiamento, le condizioni economiche e sociali di partenza, impediscono, ai più, di percepire, sul piano soggettivo, i segnali della crescita economica. È per questo che si impone una riflessione non solo sulla quantità, ma soprattutto sulla qualità della crescita. Una ripresa economica che non è inclusiva, che non è in grado di tenere dentro le fasce più deboli della popolazione rischia di inciampare su se stessa.
La vera, grande, irrisolta questione della modernità globale è, infatti, la crescita smisurata delle disuguaglianze. Milioni di persone escono dalla oscurità e dall’emarginazione globale e, molti di più sono, fortunatamente, seduti al tavolo, ma drammaticamente le condizioni tra i commensali sono sempre più diverse. Cosa è la disuguaglianza oggi? Quando Papa Francesco parla di periferie esistenziali spiega con chiarezza qual è la sfida.
Per questo ognuno di noi, ma in particolare la politica è chiamata a ripensare il modello di sviluppo. Interessante in questo senso la scelta del nostro Paese di includere nella programmazione economica – oltre al Prodotto interno lordo – indicatori di benessere equo e sostenibile. Se in linea di principio, infatti, il benessere trae vantaggio dall’aumento del prodotto interno lordo, tuttavia non coincide totalmente con esso. La qualità e la sostenibilità dell’ambiente, le diseguaglianze economiche, la qualità del lavoro, la salute e il livello di istruzione della popolazione sono alcune delle dimensioni che concorrono al benessere di una società.
Ma è l’idea stessa di benessere che deve essere ripensata. Non perché sia un fautore della decrescita felice, ma perché credo che debba esistere uno scarto sensibile tra il benessere e lo spreco. È una questione etica, è una questione di rispetto e di presa in carico dell’altro nel momento in cui le stesse risorse naturali diventano scarse. Offrire speranze, guardare al futuro vuol dire ripartire dall’etimologia della parola crisi, ossia cambiamento. È dalla forza propulsiva di questa accezione positiva del termine che dobbiamo pensare il futuro.
Grazie ancora e buon lavoro
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