“Entro due o al massimo tre anni elimineremo i vincoli del Patto di stabilità” (il Corriere del Veneto)

corriere fabbisogni standardLa politica non c’è riuscita, la logica non è bastata e nemmeno i tavoli permanenti, le conferenze continue e gli incontri al vertice hanno dato tanta soddisfazione. Per vent’anni (forse qualcosa in più) si è parlato di federalismo, di parametri fiscali, di spese storiche e di fabbisogni e costi standard. Si è detto che quella Regione (del Nord) era virtuosa e quell’altra (del Sud) sprecona, pasticciona e anche irresponsabile, si è puntualizzato che quel Comune faceva la formica e quell’altro spandeva peggio della cicala (e riceveva lo stesso trasferimenti a palate) e si è arguito in tutte le salse che non è possibile che una siringa patavina costi qualche centesimo mentre la stessa siringa, questa volta calabra, si paghi a mucchi di euro sonanti. Poi inasprire la pietanza è arrivato anche il Patto di stabilità ed è stata una successione senza fine di manifestazioni di sindaci, vesti stracciate e polemiche infinite.
Da oggi però non sarà più così. A dire se un ente pubblico è virtuoso o sprecone, se è formica o cicala, se è responsabile o pasticcione, non saranno più i sindaci e i governatori (del Nord Italia), ma un programma che basa le sue valutazioni su un complesso calcolo matematico che tiene conto del numero di abitanti, della qualità dei servizi, della morfologia ambientale (che asfaltare una strada in pianura o in montagna mica è la stessa cosa), degli affitti degli uffici, del disagio sociale e del tessuto produttivo del singolo Comune. «Dopo un lavoro lunghissimo durato almeno quattro anni, abbiamo fatto un’operazione di grande trasparenza che concretizza uno degli aspetti fondamentali del federalismo amministrativo, adesso abbiamo uno strumento che permetterà di evitare in futuro i tagli lineari», spiegano il sottosegretario alla presidenza (ed ex ministro agli Affari regionali) Graziano Delrio e il commissario alla Spending review Carlo Cottarelli. Finalmente il governo ha partorito OpenCivitas, la banca dati dei fabbisogni standard dei Comuni italiani creata da Sose (Soluzioni per il sistema economico spa, la società del ministero dell’Economia e dalla Banca d’Italia che ha realizzato gli studi di settore). E finalmente sarà chiaro chi risparmia e chi spreca senza possibilità di appello. «Così come da vent’anni ci sono gli studi di settore per le partite Iva che calcolano i ricavi che dovrebbero essere dichiarati, ora ci saranno finalmente anche gli studi di settore per gli enti locali che calcoleranno i soldi che dovrebbero essere spesi – interviene il sottosegretario veneziano all’Economia Enrico Zanetti (Scelta civica) -. In questo modo sarà possibile superare il Patto di stabilità così come lo abbiamo tristemente conosciuto in questi anni». Dai criteri fumosi ai numeri esatti dunque. «Entro due o al massimo tre anni elimineremo i vincoli del Patto di stabilità – conferma l’altro sottosegretario veneziano all’Economia Pierpaolo Baretta – Grazie a questa razionalizzazione della spesa, ora si aprirà un nuovo confronto virtuoso tra gli enti locali che entro ottobre diventerà di pubblico dominio». A partire da oggi infatti la nuova banca dati di Sose si andrà a riempire con i bilanci dei Comuni anno dopo anno fino ad arrivare ai dati in corso. E entro autunno, ogni singolo cittadino potrà andare su Internet e controllare le spese effettuate dal Comune di residenza per confrontarle con quelle degli altri Comuni e insultare (o complimentarsi) con il proprio sindaco.
Al momento – il sito non è ancora pubblico – sono disponibili solo alcune simulazioni basate sui dati del 2010 delle Regioni e di alcuni capoluoghi. E i risultati (visibili nel grafico) riservano alcune sorprese. Oltre al Veneto e alla Lombardia che ricevono meno soldi di quelli di cui avrebbero diritto (segnale di virtuosità), tra le Regioni che saranno beneficiate da una più equa ripartizione dei trasferimenti ci sono anche le Marche e la (famigerata) Calabria che spende meno di quello di cui avrebbe bisogno. E tra i Comuni peggiori d’Italia in base allo scostamento percentuale tra fabbisogno standard e spesa storica c’è Venezia che – anche tenendo conto della peculiarità della laguna, della crisi di porto Marghera, degli alti costi dei trasporti e delle spese continue di restauro – spende il 19% in più di quanto dovrebbe. Il capoluogo migliore è invece Vicenza che spende il 32% in meno. Gli altri stanno nel mezzo. Con l’amministrazione padovana bocciata con una spesa che eccede il 14% e quelle di Verona e Treviso promosse.
Alessio Antonini

2014-07-17T10:57:03+02:00 17 Luglio 2014|In evidenza, News, Notizie dal Veneto, Rassegna stampa|

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