E’ la partecipazione il futuro dell’impresa. Articolo di Baretta e Damiano su “Il Sole24Ore”

La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa sta diventando un argomento del quale, finalmente, si discute nel merito, oltre i pregiudizi ideologici o di classe. A rendere possibile questo salto di qualità della cultura economica e sociale e del sistema di relazioni sono le sfide indotte, dalla dimensione globale, ai sistemi produttivi. Come il caso Fiat dimostra la necessità di organizzare il lavoro delle persone, renderlo il più possibile produttivo, resta, anche in un “ambiente” altamente tecnologico come quello che caratterizza la struttura industriale moderna, una componente decisiva per la capacità competitiva delle imprese. Dopo un periodo nel quale si pensava che la “civiltà delle macchine” si sostituisse alle persone, si è ragionevolmente compreso che anche la più elaborata intelligenza artificiale non surclassa la intelligenza naturale, tanto più se preparata e coinvolta. Il “fattore umano”, dunque, si consolida come componente essenziale della vita aziendale. La discussione sulla produttività degli impianti, infatti, come sui sistemi organizzativi più sofisticati, cessa rapidamente di essere solo “tecnica” e si sposta subito sui “soggetti”, sulle persone e la loro vita aziendale (e per riflesso quella esterna, privata), sui ritmi individuali della loro prestazione individuale e sui tempi di permanenza del singolo operaio o tecnico nella postazione assegnatali. Se, dunque, pur in presenza di robot, informatica…meccatronica, il ruolo della persona non viene meno, anzi trova una nuova stagione di protagonismo, non si può dire altrettanto del suo peso. Da qui vengono a galla tutti i problemi relativi alla scarsa valorizzazione del lavoro, a cominciare da quello che comporta più fatica psicofisica, più sforzo soggettivo, più “alienazione”, le cui forme attuali sono altrettanto, se non più, subdole di quelle tradizionali. Non si tratta solo di un mancato riconoscimento salariale, che pure è un problema, accentuato dalla crescita del differenziale tra i diversi livelli gerarchici della scala aziendale.

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2011-02-22T16:17:47+01:00 22 Febbraio 2011|Opinioni, Rassegna stampa|

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