C’erano due binari che correvano paralleli: uno era il mercato ufficiale e l’altro il mercato delle Banche Popolari. A un certo punto hanno cercato di farli incontrare, decidendo che il metodo di valutazione delle Popolari non era più adatto…». È il passaggio cruciale dell’interrogatorio di Vincenzo Consoli, reso il 29 settembre 2015 e svelato ieri dal Corriere del Veneto , quello in cui l’ex dominus di Veneto Banca di fatto scarica sul governo la responsabilità del crollo delle azioni, imputandola alla riforma che ha imposto la trasformazione delle Popolari in Spa. Una versione che l’esecutivo rispedisce tuttavia al mittente. «Mi dispiace per Consoli, che ha già abbastanza guai, però la sua ricostruzione non sta in piedi», dice il veneziano Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia con delega al sistema bancario.
Perché?
«Il nostro provvedimento ha tolto il coperchio a situazioni che erano già compromesse, facendo in modo che emergessero e dunque potessero essere affrontate. Teniamo presente che la riforma non si è occupata del “sistema Popolari”, ma solo delle dieci le cui dimensioni andavano ben oltre il territorio di riferimento e che erano quotate o controllate dalla Bce, per cui l’aggancio al territorio c’era ma era perverso, come si è visto pure a Vicenza. Quindi francamente la riforma non ha avuto colpe, ma semmai il pregio di interrompere un percorso che avrebbe portato al fallimento, esito evitato poi anche grazie all’intervento di Atlante».
Consoli sostiene che le Popolari riuscivano a stabilizzare il valore delle azioni.
«La natura della Popolare è tale se la banca è di dimensioni contenute e con uno stretto aggancio al territorio. Di fronte alle grandi dimensioni, invece, il voto capitario perde significato e il valore delle azioni dipende dal mercato. Non si può diventare grandi sperando di restare piccoli».
Ma i tempi della riforma non sono stati troppo stretti?
«Erano anni che si discuteva della riforma, che semmai è stata tardiva. Non è vero che la trasformazione in Spa è stata imposta dalla sera alla mattina, le banche sapevano esattamente cosa stava bollendo in pentola. Solo che le Popolari non la volevano, a differenza delle Bcc che invece si sono assunte l’onere di farla con noi».
Giusto arrestare Consoli?
«Non commento, ci siamo incontrati e parlati due o tre volte, man mano che la situazione andava peggiorando. Ma sono d’accordo con Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustria Treviso: dopo gli errori del passato, bisogna guardare al futuro con una nuova classe dirigente. Per questo è opportuno fare chiarezza su due piani. Da un lato è bene che la magistratura vada fino in fondo e accerti le responsabilità. Dall’altro è opportuno che sia Veneto Banca che Bpvi avviino le azioni di responsabilità e attivino i processi di conciliazione, soprattutto nei confronti delle situazioni più esposte e delicate dal punto di vista sociale».
Siamo alla vigilia dell’insediamento di Atlante a Montebelluna, così com’è stato a Vicenza: che futuro vede?
«Il merito di Atlante, un’iniziativa privata la cui realizzazione è stata favorita dal governo, è aver evitato il fallimento delle due banche. Sono rimasto un po’ stupito della totale assenza della finanza e degli imprenditori veneti nel partecipare al salvataggio, capisco la sfiducia ma mi sarei aspettato un contributo dal territorio. Credo comunque che ce ne siano ancora i margini: siccome Atlante non sarà eterno, la discussione dovrebbe già riguardare le strategie future. In epoca di globalizzazione non sono contrario per principio all’apporto di capitali stranieri, ma non vorrei che fossero i soli, mi piacerebbe che ci fosse anche un progetto territoriale».
Sta per caso rilanciando l’idea di una fusione tra Montebelluna e Vicenza?
«L’avevo sostenuta in tempi non sospetti e mi è sempre stato detto che l’unione fra due debolezze non fa una forza. Continuo però a vedere che due debolezze singole fanno fatica, quindi non escludo nulla, nemmeno la possibilità che dopo essersi assestata con Milano, Verona possa guardare anche a Est e non solo a Ovest. Penso poi alle Bcc che si stanno riformando e che devono ridursi di numero, mi auguro attraverso fusioni interne. E alludo pure al ruolo delle Fondazioni nel capitale delle Popolari. Insomma penso ad strategia complessiva all’interno di un quadro d’insieme».
In quante tappe?
«Tre. La prima era evitare il fallimento e ci siamo riusciti grazie alla riforma e grazie ad Atlante. La seconda è togliere dalla pancia delle banche venete i crediti deteriorati, attraverso un piano simil-Montepaschi che potrebbe coinvolgere Atlante 2. La terza sarà rilanciare il sistema, attraverso piani industriali che prevedano aggregazioni e sviluppo».
Che ne è dell’annunciato tavolo del credito?
«Non dispero di vederlo convocato, prima o poi. Politica, imprese, banche e istituzioni devono condividere le responsabilità».
Angela Pederiva
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