VENEZIA Una public company per mantenere il controllo delle popolari venete dopo il passaggio in spa. Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia a cui il governo ha affidato la gestione alla Camera del decreto che impone la trasformazione, punta su questo per gestire lo storico passaggio. Il decreto è fatto, oggi il voto finale. In uno scenario in movimento. Giusto ieri la notizia che il cda di Bpvi, martedì, ha affidato all’Ad Samuele Sorato un mandato esplorativo per selezionare un advisor per valutare le scelte strategiche. Un passo per affrontare il tema fusioni e il mare aperto del dopo trasformazione in spa. Che per Baretta va visto come una opportunità.
Intanto: sul tetto del 5% per due anni. Si dice: insufficiente contro le scalate e Unicredit ce l’ha stabilmente.
«Il tetto è a tempo, perché si può decidere nella trasformazione in spa con maggioranze semplici. Il confronto con Unicredit è sbagliato: lì è stato adottato con le maggioranze qualificate del Codice civile. Niente vieta che anche le nuove spa vi ricorrano. Ora stiamo concedendo un vantaggio».
Bpvi pensava a trasformarsi scorporando spa bancaria e cooperativa. Ma non pare possibile col decreto.
«Il decreto prevede solo la trasformazione oltre gli 8 miliardi. Poi la questione posta da Vicenza è interessante: riguarda il mantenere un solido rapporto col territorio. Non pensiamo a spa speciali: sarebbe un’alterazione del mercato. Ma di sicuro il tema, che non risolviamo col decreto, è serio. Ci dovremo lavorare. Servono soluzioni non improvvisate».
Che occasioni vede?
«È in corso l’autoriforma delle Bcc. Quando sarà chiusa andrà trasformata in una norma. Quella, secondo me, sarà l’occasione per affrontare anche questo aspetto».
Ma un veicolo cooperativo con una quota decisiva sopra una spa bancaria ce lo vede?
«Non entro nel merito. Può esser una soluzione. Al pari di una public company che coinvolga soci e cittadini dei territori delle popolari. Sono soluzioni che vanno studiate. Il tema non è accantonato».
E la riforma delle Fondazioni? Il limite al patrimonio in un’unica banca pare favorire la formazione di noccioli locali, come si pensa a Verona per il Banco Popolare.
«Il tema Fondazioni è collegato. Il decreto ha messo in moto una risistemazione di tutto il capitolo delle popolari, del credito cooperativo e delle Fondazioni, di cui il decreto è solo il primo capitolo».
Alle popolari venete parla?
«In questa fase in cui seguo il decreto no. Ma sono interessato a un approfondimento che coinvolga la politica. L’importanza del Veneto nel sistema bancario è sottovalutata».
Riflessione in che termini?
«Su come valorizzare le esperienze locali in un sistema bancario più maturo. Questa è un’occasione: la trasformazione delle popolari venete non è solo un’operazione tecnica. Può assumere un significato importante di leadership nel sistema finanziario».
Si riparla di una fusione Vicenza-Montebelluna.
«Non entro nel merito. Ma sono favorevole in linea generale a fusioni che rafforzino presenze forti su territori, capaci di competere in mercati piu vasti. Le fusioni aiutano».
Imprese e capitali in regione devono scendere in difesa delle banche?
«Non a caso parlo di public company. Il timore di scalate va combattuto non solo con regole di tutela, ma anche con azioni decise».
Teme la calata straniera?
«L’arrivo di capitali stranieri in Italia non è negativo; lo è se assumono il controllo. Ma non è automatico. Ripeto: va colta l’occasione. Ci sono rischi se la trasformazione in spa è vissuta in maniera difensiva».
di
Federico Nicoletti
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