La Città metropolitana è una occasione per riequilibrare i poteri con lo Stato e assumere, anche dal punto di vista fiscale, una “dignità” che consenta di ottimizzare la gestione della città e affrontare, ad esempio, temi quali le norme che regolano la circolazione in bacino San Marco e la nomina d’istituzioni chiave quali la presidenza dell’Autorità portuale, del soggetto che ha preso il posto del Magistrato alle acque e delle soprintendenze.
Per il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta, questo e molto altro deve diventare la Città metropolitana di Venezia. In particolare, «la cassa di risonanza delle specificità territoriali e di quella clamorosamente rilevante della Venezia insulare». Oltre all’ente che potrebbe consentire «la prima interlocuzione unitaria con il Governo, per rimediare ai troppi poteri che esulano dalle competenze locali».
Baretta è intervenuto ieri all’Hotel Ausonia & Hungaria alla presentazione del volume “CmV – La Città metropolitana di Venezia”, edito da Supernova e coordinato da Gianfranco Perulli, che raccoglie le riflessioni in materia di entrambi insieme a quelle di altri 16 esperti tra cui lo storico Riccardo Calimani, il giornalista Maurizio Cerruti, l’ambasciatore Gianpaolo Scarante e l’imprenditore Damaso Zanardo. Baretta ha sottolineato che per caratteristiche e potenzialità, il nuovo ente locale di secondo livello «potrebbe essere lo strumento più idoneo per l’apertura di una seria trattativa con il Governo, al fine di rimediare alla sperequazione di poteri su Venezia e ottenere un differente regime fiscale. Consapevoli però che tale aspetto risolverebbe il problema delle manutenzioni, non quello della regolazione dei flussi turistici».
«I confini attuali sono solo un punto di partenza – ha concluso il sottosegretario – Il sindaco metropolitano Luigi Brugnaro non dimentichi la Patreve, perché la Città metropolitana trova senso compiuto solo allargandosi a Padova e a Treviso».
Dunque la Grande Venezia va vista «come punto di riferimento per l’interlocuzione a livello mondiale e la costruzione di grandi reti». Che, nella sua accezione veneziana, «deve andare oltre i Comuni e l’impostazione esclusivamente istituzionale, per dare il meglio di sè nella programmazione integrata a livello economico e sociale. Non un’idea urbana e basta, ma un ente capace di esprimere una visione più ampia del territorio e uscire dalla dicotomia città-campagna».
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