PADOVA Sottosegretario Pier Paolo Baretta, il mondo del credito è scosso da due profonde crisi: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono alle prese con gravi sofferenze di bilancio e hanno l’obbligo della ricapitalizzazione. Cosa può fare concretamente il governo, nel rispetto dei limiti che la Banca d’Italia e la Bce riservano all’autorità politica?
«La libertà di mercato e di associazione delle imprese vanno sempre rispettate e il governo senza prevaricare questi vincoli ha creato le premesse per favorire l’integrazione del sistema bancario, l’asset fondamentale dello sviluppo in una regione importante come il Veneto. Abbiamo gettato fondamenta molte solide attorno a tre pilastri: il primo riguarda la riforma per legge delle Popolari con il nuovo assetto in SpA, un settore in profonda ristrutturazione; il secondo pilastro coinvolge le Fondazioni bancarie che, grazie al protocollo firmato due mesi fa, ora possono intervenire nel capitale sociale delle Popolari. L’ultimo capitolo riguarda le Bcc: in queste settimane stiamo discutendo come riorganizzarle alla luce dei vincoli della Bce. Gli scenari sono in profondo movimento e sarebbe molto importante che le Fondazioni, le Popolari e le Bcc trovassero un tavolo di concertazione per elaborare una strategia comune nell’interesse esclusivo delle aziende e dei risparmiatori veneti. Tutto il settore va riorganizzato, senza aspettare gli interventi delle banche straniere che ci considerano una terra di conquista».
Insomma, lei lancia un invito a superare le divisioni e i campanili per favorire le aggregazioni: forse è un po’ tardi visto che Veneto Banca e BpVi hanno lasciato nei loro cassetti i piani di integrazione. Ora la via obbligata sembra la quotazione in Borsa per raccogliere risorse o c’è un’altra soluzione?
«Credo sia assolutamente indispensabile girare pagina e creare un modello condiviso di gestione. Se proprio non si vuole praticare la strada della fusione bisogna in ogni caso mettere in piedi un tavolo istituzionale per avviare il confronto. Non mi pongo nemmeno il problema della disponibilità dei rispettivi Cda, credo sia una tappa obbligata imposta dal mercato internazionale del credito. Una sfida da vincere, altrimenti si soccombe».
Negli trent’anni si è visto un film diverso: le Casse di risparmio aggregate con Milano e Torino e poi Antonveneta contesa da due cordate e finita a Bmps con tutti i guai che si trascina. La storia si ripete con le Popolari e come pensa di dare vita a questo tavolo di concertazione?
«Gli scenari sono completamente mutati: le Casse di risparmio venete hanno stretto alleanze strategiche con i poli finanziari di Milano e Torino sulla base di valutazioni squisitamente legate alle loro convenienze di bilancio. Ora il mercato è globale e nessuno si salva da solo, soprattutto se ha dimensioni modeste. Le Popolari appena trasformate in SpA potranno trovare integrazioni con le Fondazioni bancarie, resta da capire quale ruolo potranno giocare le Bcc. Il tavolo di concertazione non può essere imposto dal governo, ma lancio un appello a superare le divisioni ideologiche: la Regione con il presidente Luca Zaia può diventare il motore di questo dialogo per capire se esistela volontà di dare vita a un superpolo bancario veneto, nell’interesse esclusivo delle nostre aziende».
Chi dovrebbe fare il primo passo, secondo lei?
«Non certo noi perché la politica con le istituzioni, dopo aver creato le premesse legislative, può esercitare solo una moral suasion. A leggere i dati di bilancio di Popolare Vicenza e Veneto Banca c’è da chiedersi perché i due Cda non abbiamo mai avviato contatti per avviare le procedure di integrazione. Perché non stringono mai? Alle Popolari venete direi: cominciate ad andare insieme. Alle Fondazioni bancarie direi: utilizzate subito le nuove regole che vi consentono di entrare nel capitale sociale delle Popolari. Alle Bcc direi: fate presto a creare un gruppo unico, c’è troppa frantumazione nel movimento cooperativo. Se non si danno segnali di scelte coraggiose e radicali ai mercati, è chiaro che l’affanno resta».
Il secondo aspetto della crisi riguarda la tutela dei risparmiatori: il question time alla Camera ha lasciato irrisolti molti interrogativi. Le critiche di M5S e Lega sono fondate o soffiano sul fuoco?
«Nella riforma delle Popolari abbiamo inserito una norma che prevede di blindare una quota di azioni, io ritengo che i piccoli azionisti debbano costituire un patto di sindacato per poter così contare nelle decisioni. Nelle vecchie Popolari c’era il voto capitario, con la riforma in SpA lo abbiamo superato e i piccoli azionisti debbono dare vita a un nuovo sistema di rappresentanza in grado di tutelare i loro interessi. La legge lo consente. Le critiche di M5S e Lega hanno ragione di esistere di fronte all’immobilismo dei Cda. Il pallino non ce l’hanno i Cinque Stelle, ma le due Popolari: anche il governo, dopo aver creato lo scenario legislativo, rischia di fare da spettatore. Tocca a loro fare la prima mossa e anticipare i nuovi equilibri che la Bce può determinare in tempi rapidi».
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