Tre settimane fa è scattato il piano «salva Banche»; e, per la prima volta, anche l’Italia ha capito che le banche possono fallire. Ma chi paga il conto? Oggi, i risparmiatori. Per questo il governo, ha deciso di «andare incontro a chi ha subìto un danno colpevole da parte delle banche, incassando una perdita dell’investimento in quanto possessore di obbligazioni subordinate». Ovvero: bond con un rendimento maggiore e quindi più esposti al rischio. Come funzionerà e che implicazioni avrà questa misura, lo spiega il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.
«Sì, verrà valutata la buona fede delle persone e la colpa degli istituti con una commissione, tipo giuria, che accerterà i fatti. Decideremo a breve anche le modalità con cui i soggetti potranno accedervi».
Chi sborserà i denari per ripagare i danni?
«Le banche. Non è previsto al momento alcun contributo statale».
Perché?
«Per evidenziare che si tratta di un rapporto sbagliato tra banca e persone: sarebbe un errore se i soldi pubblici sollevassero dalle responsabilità le banche».
Ma in banca chi paga?
«Dal punto di vista legale, e per i truffati, la banca; l’accertamento delle responsabilità individuali, parliamo dei dirigenti, spetta al giudice, non certo al governo il cui compito oggi è constatare che ci sono delle persone che hanno subìto un torto e che vanno risarcite. E devono essere le banche a risarcirle».
E i vigilatori? Che conseguenze ci saranno per loro?
«C’è la necessità di chiarire anche l’aspetto della vigilanza a livello di controlli e operatori. Per questo, come Pd e governo, siamo favorevoli a una commissione d’inchiesta che accerti i fatti. Il sistema ha bisogno di essere riformato».
Cadrà qualche testa?
«Per ora occupiamoci dei cittadini che sono stati buggerati».
E gli azionisti delle popolari non sono stati buggerati?
«C’è una differenza: un obbligazionista va in banca, chiede un prestito e gli può venir suggerito di acquistare anche questo prodotto. Potrebbe anche essere un cliente occasionale. L’azionista è uno che ha scelto di compartecipare al rischio dell’impresa».
Alcuni sono diventati azionisti sottoscrivendo un prestito…
«Cambia comunque la responsabilità: diventare azionisti è un atto diverso, il parallelo va fatto con l’industria».
Nessun indennizzo allora?
«Nel caso delle popolari venete bisogna porsi il problema di un piano di uscita da questa fase di stallo. Le banche, devono in modo autonomo diventare spa, il che implica una ricapitalizzazione in tempi certi ma senza passi affrettati. Tutta la discussione su come gestire le nuove azioni, a chi venderle e chi saranno i nuovi partner, deve coinvolgere i vecchi soci del territorio. Serve un disegno su cos’è la finanza in Veneto e cosa vuole fare».
Chi deve disegnarlo?
«Tutti: la politica, rispettando l’autonomia e il mercato, ma anche i gestori devono capire che si tratta di una modifica importante con decine di migliaia di protagonisti che non devono diventare vittime».
Un’unica banca veneta non sta più in piedi come ipotesi?
«Adesso dobbiamo capire quali banche devono contare; e, oltre a quelle che si trasformano, ce ne sono tante altre più piccole».
Una cosa è chiara, è finita l’epoca dei Monti bond: lo Stato non salva più le banche.
«Stiamo andando verso nuove soluzioni dove il sistema economico deve autotutelarsi: le riforme delle Popolari, delle Fondazioni e delle Bcc vanno in questo senso e ci dicono che le banche posso fallire e che se falliscono è un bel problema. La strategia è la prevenzione».
Quindi, con le altre banche commissariate come la Banca padovana?
«Il caso della Padovana si inserisce in questo quadro: dobbiamo studiare delle soluzioni per non abbandonarle a un destino peggiore. Lo strumento non è stato definito ma non può essere diverso da Cariferrara, Etruria, Marche e Chieti».
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