“Ormai da alcuni anni, le società occidentali attraversano una crisi profonda di identità, che viene da lontano. Per lunghi anni abbiamo costruito un mondo di sicurezza e apertura. L’avevamo costruito con fatica, dal secondo dopoguerra fino ai lunghi anni di pace, sia pure fredda, e di crescita economica che, erroneamente, era apparsa infinita. Dalla nascita dell’Europa, alla nuova frontiera, al miracolo economico, al Concilio ecumenico, alla Perestrojka, tutto sembrava un fiorire, un pullulare, di un’epoca di prosperità e di disgelo. In quel clima, perfino l’arrivo a Teheran di Khomeini ci era apparso una rivoluzione positiva. E, persino i drammi e le sconfitte, come la Primavera di Praga o il Cile di Allende, provocavano nuove sensibilità, costringevano a porci nuovi orizzonti. Sicché, abbiamo interpretato l’evento principale: la caduta del muro come l’esito inesorabile di una stagione di progresso continuo, ma, soprattutto, come una catarsi.”
Si apre con questa riflessione sulla crisi delle società occidentali il secondo post che su Formiche dedico al tema del populismo. Il post, dal titolo “Come possiamo rispondere all’avanzata del populismo e alla crisi del riformismo“, riflette su quale siano i motivi dell’ampio consenso popolare intorno a proposte politiche che, da più parti, vengono etichettate come populiste e sul perché il riformismo – anche quello dell’esperienza del governo Renzi – sia piombato in Italia e nel mondo in una spirale di crisi, sia in termini di consensi che di idee.
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