Con la fusione tra il Banco e Bpm nasce il terzo gruppo bancario italiano. È la prima aggregazione tra ex popolari che si realizza da quando il governo Renzi ha varato la riforma che impone alle grandi banche cooperative la trasformazione in società per azioni. Dunque il governo è protagonista di questa delicata operazione di ridisegno del settore e all’interno del governo il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, veneziano, ha proprio la delega al sistema bancario e finanziario.
«Il segnale arrivato da Verona e da Milano mi pare non solo molto positivo in sé ma anche parecchio utile ai fini della ristrutturazione che sta avvenendo, col favore del governo, nel settore del credito, tra fusioni e aggregazioni. Si tratta di due banche collocate in territori importanti, il Veneto e la Lombardia, al centro del cuore economico del paese, là dove dovranno necessariamente trovare attuazione le politiche per la crescita».
L’operazione lungo l’asse Verona-Milano può avere effetti anche sulle altre ex popolari venete, ossia Popolare di Vicenza e Veneto Banca?
«Sì e personalmente lo auspico. Non dobbiamo avere fretta, il Banco e Bpm devono innanzitutto completare il percorso iniziato col voto delle due assemblee ma una volta che la nuova banca si sarà strutturata non sarebbe male se guardasse a Est, con un processo che certo andrà sostenuto in modo adeguato».
Sembrano quindi da escludersi azioni nell’immediato.
«La nascita di un gruppo solido è un buon esempio tutti e ripeto, può essere la forza motrice di un percorso positivo, da qui può iniziare il ridisegno del sistema del credito a Nordest col coinvolgimento di Popolare di Vicenza e Veneto Banca ma anche delle banche di credito cooperativo e delle fondazioni bancarie. Ma si deve procedere con saggezza, passo dopo passo».
Nel frattempo Veneto Banca e Popolare di Vicenza dovrebbero a loro volta intraprendere un percorso di fusione?
«È chiaro che ogni istituto dovrà valutare le proprie condizioni di salute, analizzare i conti economici, verificare le prospettive di sviluppo ma allo stato attuale l’ipotesi della fusione non solo non va esclusa ma va considerata come prioritaria. Sulle nostre banche sono posati da tempo gli occhi degli investitori internazionali e il fondo Atlante prima o poi lascerà il campo. Quando ciò accadrà, ci faremo trovare impreparati? Lasceremo Popolare di Vicenza e Veneto Banca ciascuna al proprio destino, con conseguenze al momento indecifrabili? E soprattutto, un epilogo di questo tipo sarebbe positivo per l’economia veneta?».
Gli investitori internazionali, ossia i fondi, sono anche i primi sostenitori dell’urgenza di ridurre il personale, una necessità condivisa dal dominus di Atlante, Alessandro Penati.
«È un errore partire dagli effetti anziché dalle cause, gli esuberi sono l’esito, non l’origine del collasso delle ex popolari e Bpvi si trova in questa situazione per via della mala gestio di questi anni non perché ci sono troppi dipendenti. Mi pare un’idea tutta americana quella per cui cacciata la gente, i problemi spariscono. Si faccia un piano industriale per il rilancio, si studino le possibili alleanze e solo allora, se ci sarà il nodo del personale, studieremo il modo migliore per risolverlo. La questione va rimessa nel giusto ordine».
Nella legge di Stabilità ci sarà l’annunciato contributo al Fondo di solidarietà bancario?
«Sì, anche se non sono in grado di dirle una cifra, sono ore convulse. Potrebbero essere 75-100 milioni, non lo so».
L’Abi aveva chiesto il rientro del contributo versato per la Naspi, l’indennità di disoccupazione, 200 milioni l’anno.
«All’origine della richiesta c’è il fatto che le banche, pur contribuendo alla Naspi, non ne usufruiscono. È vero. L’uscita degli istituti di credito dal sistema Naspi, però, è impensabile. Daremo loro nuovi strumenti per gestire crisi e ristrutturazioni attraverso i contratti di solidarietà e i prepensionamenti, continuando ad evitare i licenziamenti».
L’allarme lanciato da Moody’s sulle difficoltà che potrebbero incontrare le banche venete in caso di vittoria del «no» al referendum è realistico?
«C’è un’interdipendenza sempre più stretta tra economia e politica e la questione mi pare molto semplice: se non passerà il “sì” alla riforma ci sarà un’instabilità politica e quando c’è instabilità politica i rischi economici aumentano. È la realtà, non un giochetto. Chi vota “no” è ovviamente libero di farlo ma credo debba tener conto anche di questo. Il sistema bancario italiano vive un passaggio delicato: gli stress test sono stati superati, il piano studiato per Mps regge ma il rischio di un attacco della speculazione internazionale è sempre presente».
In legge di Stabilità ci saranno anche nuove misure per i crediti deteriorati?
«Non nel testo che uscirà da Palazzo Chigi anche se certo, il dibattito in parlamento sulla manovra dura solitamente un paio di mesi e lì tutto può succedere. Alcune misure di alleggerimento, come il patto marciano, sono già state prese, ma lo stock resta un problema molto serio, ci stiamo lavorando».
Sul riassetto delle Bcc quale scenario prefigura?
«Sono rispettoso della discussione in atto tra Trento e Roma ma resto convinto che la via da seguire sia quella del gruppo unico. Occorre uno sforzo per stare tutti insieme e garantire solidità al sistema. Che d’altra parte è sempre stato l’obiettivo della legge di riforma voluta dal governo».
Marco Bonet
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