MONTEBELLUNA Flop è a questo punto la definizione che si può ufficialmente usare. Il tentativo dei grandi soci di Veneto Banca di mettere insieme, nell’operazione di aumento di capitale da un miliardo, una quota almeno del 25% per permettere l’ingresso in Borsa non è andato a segno e le sottoscrizioni risultano essere meno di un decimo. Il 2,22%, per la precisione, alle quali si potrebbero aggiungere, entro le 13 di oggi, quelle degli investitori istituzionali, ma l’esito è già scontato. Tecnicamente il capitale raccolto, sempre che la quota sia interamente attribuibile a membri del comitato presieduto da Bruno Zago, non è sufficiente nemmeno per inserire un nome nel Consiglio di amministrazione che il Fondo Atlante, a questo punto nuovo padrone della banca, vorrà designare. A maggior ragione se si tiene conto che il 2,22%, già smagrito dalle revoche arrivate dopo la diffusione, la scorsa settimana, di un supplemento al già scoraggiante prospetto informativo, potrebbe contenere sottoscrizioni dalle quali i firmatari, dato il risultato, potrebbero recedere.
Ragionando su un piano teorico, comunque, va detto che esiste ancora circa uno 0,7% di capitale distribuito fra gli 88 mila soci (ma strutturare una lista sostenuta dalle loro firme appare un’utopia) e alla fine rimane da vedere il comportamento su questo degli investitori istituzionali.
La sostanza è che adesso Atlante si può considerare il proprietario delle due ex banche popolari venete. Di questo prenderà atto un Cda a Montebelluna in programma per oggi e quello che accadrà da domani in poi è tutto da scoprire. «E’ la soluzione che definirei la “meno peggio” – sostiene Fabio Buttignon, docente di finanza aziendale all’università di Padova – perché l’alternativa proposta dalla cordata dei grandi soci mi è sempre parsa velleitaria. Anche si fossero ottenute le condizioni per la quotazione, temo che l’attrattività del titolo sarebbe stata molto modesta. Il bicchiere mezzo pieno è che abbiamo evitato il fallimento e da qui si può ricominciare con un nuovo Cda e un piano industriale veloce e credibile». Nel senso che il «progetto Serenissima», presentato lo scorso ottobre dall’allora amministratore delegato e oggi direttore generale Cristiano Carrus, per Buttignon potrà servire sì da piattaforma, ma da sottoporre a una capillare rilettura. «Un minimo di continuità ci vuole, se non ci sono controindicazioni Carrus può restare al suo posto. Il problema serio ora sarà la gestione dei contenziosi. E vedremo anche se Atlante, in uno scenario di possibile aggregazione di Montebelluna con Vicenza, sceglierà di ristrutturare i due istituti separatamente o una volta fusi».
Pierpaolo Baretta, sottosegretario veneto all’Economia, rilancia una visione più larga: «Ci vuole un disegno di medio periodo dei veneti sul Veneto che coinvolga le due ex banche popolari, le Bcc, le fondazioni bancarie, gli imprenditori e la politica. E penso anche che il Banco Popolare sia in tutto questo un interlocutore che non può rimanere estraneo». Il quale Banco Popolare, per inciso, ieri ha festeggiato il successo del suo aumento di capitale da un miliardo con uno sprint in Borsa del titolo, cresciuto del 6,47%.
Tutto questo perché non si può fingere di non vedere come la sfiducia nel sistema bancario locale nel suo complesso, sostiene ancora l’esponente di governo, abbia rafforzato il rischio di «allontanamento dei depositi verso destinazioni lontane, in Italia e all’estero. La circolazione dei capitali in ambito internazionale è un fatto normale, una fuga è un’altra cosa. Mi sarei aspettato di più dagli investitori locali, è stata un’occasione persa».
In sintonia Simonetta Rubinato, deputata trevigiana del Pd. «Sarebbe utile capire perché sia mancato questo apporto di capitali. E’ prematuro ora ipotizzare che cosa farà il Fondo Atlante, ormai di fatto azionista unico delle due ex popolari venete, ma che le integri o meno, il percorso non sarà per nulla indolore. Per questo credo ancor di più oggi che tutte le istituzioni debbano impegnarsi al massimo perché venga fatta chiarezza sulle responsabilità di chi ha portato a questa situazione e per dare risposta ai risparmiatori truffati e alle imprese in sofferenza».
E i grandi soci dopo il grande flop? Per loro parla Loris Tosi. «Non avremo consiglieri ma anche un intero Cda nominato da noi non è servito. Comunque Atlante non può trascurare l’aspetto della fiducia e il valore di una banca è dato anche dalla soddisfazione dei clienti. Perciò credo che abbia tutto l’interesse a tessere un dialogo con noi ».
Gianni Favero
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