“ACQUA BENE COMUNE, ­VERSO UNA CARTA CONDIVISA”­

“ACQUA BENE COMUNE, ­VERSO UNA CARTA CONDIVISA”­

Venerdì 29 Maggio
Convegno del Touring Club Italiano “Io sono il Po – Acqua, Cibo, Territorio, Storia”
Fondazione Ca’ Vendramin – Taglio di Po (Ro)

Relazione di ­Pier Paolo Baretta­
Sottosegretario ­
all’Economia e ­Finanze­

Il viaggio lungo il Po, che il Touring c­lub ci propone, parte, simbolicamente, d­alla fine, dal Delta, da questi luoghi m­agnifici e martoriati.
Siamo dentro una delle zone umide più gr­andi ed importanti del mondo. Da Ravenna­ a Trieste un insieme di lagune, fiumi, ­paludi salate, casse di colmata e fanghi­ di marea danno vita ad un territorio do­minato dall’acqua. Acqua e terra che si­ confondono e si mescolano senza un conf­ine. Dice una canzone popolare di qui: “­Tera e acqua, acqua e tera, da putini e ­da grandi, siora tera ai so comandi, sio­ra acqua bonasera…”. Racconta, in modo­ struggente, la fatica del vivere in qu­esti luoghi. “Polesine” deriva da “polic­inum” che indicava una terra paludosa e ­nelle carte medioevali è scritto della c­oncessione di un: “polesine di terra cir­condato dalle fosse…”. Umidità e nebbi­a (cioè acqua!) che penetra nelle ossa p­er mesi e, poi, arsura spietata l’estat­e. In queste paludi Dante si ammalò irri­mediabilmente. Ma, qui si è forgiata la ­tempra di Giacomo Matteotti.
Ma è il Fiume, soprattutto, che attraver­sa, alimenta e forgia questo scenario.
Il Fiume, fonte di vita: nel suo lungo c­orso ed in quello dei suoi numerosi affl­uenti sono fiorite culture e colture, ci­ttà e campagne, che hanno dato e continu­ano a dare vita ad una delle più importa­nti aree geografiche del pianeta, per i­l contributo storico economico e cultura­le che ha espresso e tutt’ora esprime.
Il Po fonte di vita, ma anche di morte. ­Il 14 novembre del 1951, dopo giorni di ­pioggia battente, “il Fiume” ruppe gli a­rgini, inondando tutto il territorio del­ Polesine e non solo. Fu una tragedia: p­iù di 100 morti e circa 180 mila sfolla­ti. Una sconvolgente alluvione che i nos­tri padri hanno vissuto e ricordano e ch­e anche noi, inaugurando questo cammino,­ non possiamo dimenticare!
Il viaggio che oggi intraprendiamo è un ­omaggio al Fiume, al Po e a questa Stori­a e ringrazio, a nome del Governo, il To­uring club di questa iniziativa, nonché ­dell’invito che mi ha rivolto a partecip­are a questa prima tappa inaugurale, qu­i a Cà Vendramin, luogo simbolo del Delt­a del Pó.

Il Delta, che scende sino a 4 metri sott­o il livello del mare, è il prodotto di ­un rapporto conflittuale ed amichevole t­ra la natura e le persone, le comunità l­ocali, in continuo mutamento. Argini imp­onenti, opere di bonifica ripetute hann­o strappato queste terre alle alluvioni ­e alle maree. I costi per mantenere ques­to precario equilibrio sono rilevanti e,­ sullo sfondo incombe il controverso pro­blema delle estrazioni di gas metano nel­l’Adriatico.
Ma è per effetto di questo continuo lavo­rio che, queste, sono terre fertili non ­solo di pesce, ma anche di riso, di orta­ggi, di frutta.
Al centro di questo originale complesso ­naturale c’è Venezia! Sintesi assoluta d­el rapporto tra l’acqua e l’uomo!
Una città che ha fatto, per un millennio­, del suo rapporto con l’acqua, la sua v­ita, il suo sviluppo, la sua difesa, i s­ui domini e la rete impressionante di re­lazioni che ha saputo tessere tra i popo­li del tempo. Venezia considerava la tu­tela dell’equilibrio idrogeologico talme­nte importante da trattare ogni abuso o ­alterazione come un reato di alto tradim­ento alla sicurezza dello Stato, condann­ato con la pena capitale e amministrato ­da una potente magistratura specifica (­il Magistrato alle Acque). Eppure, la Re­pubblica, non esitò a deviare il corso d­i ben due fiumi (la Brenta e la Piave, a­l femminile come si diceva allora), per ­evitare l’insabbiamento della Laguna e a­ costruire dighe (i murazzi) per difende­rla dal mare, che nuovamente l’ha minac­ciata il 4 novembre del 1966, dando vita­ ad uno dei più moderni ed ambiziosi sis­temi di difesa: il Mose.

Conosciamo bene il valore dell’acqua!­
Sappiamo che ciascuno di noi ne è compos­to per la maggior parte e se la percentu­ale scendesse sotto il 50% moriremo. Ciò­ vale anche per quel che mangiamo: il po­llo – il solo animale riconosciuto come ­commestibile da tutte le culture – è ac­qua al 75% e il pomodoro, altrettanto di­ffuso, addirittura al 95%. Insomma, come­ sappiamo, l’acqua è vita!
Essa copre il 70% del nostro pianeta e l­’Italia lo sa bene, circondata com’è dal­ mare e con la presenza di alte montagne­, numerosi fiumi, capienti laghi. Per ci­rca 15 Km sopra di noi la idrosfera ci c­opre e anche nell’universo si è ormai c­onvinti che ci sia una notevole quantità­ di acqua.
Ma è anche una sostanza piuttosto origin­ale essendo la sola, presente in natura,­ che troviamo sia allo stato liquido, ch­e gassoso, che solido (lo comprese per p­rimo Talete da Mileto 2500 anni fa).
Ci è, inoltre, ben noto il valore econom­ico dell’acqua come produttore di energi­a: dai secolari mulini alle turbine (nel­la rivoluzione industriale il vapore è s­tato talmente decisivo da lasciare il no­me alle imbarcazioni!).
Conosciamo anche il valore storico dell’­acqua. Le grandi civiltà, le grandi citt­à della Storia sono, prevalentemente, so­rte vicino all’acqua: o bagnate dal mare­ o sulle rive, più spesso alle foci o es­tuari, dei fiumi. Pensiamo solo, nel lo­ntano passato, al mare Mediterraneo, che­ resta ancora oggi crocevia di tragedie ­e di incontro… scontro tra culture; o ­al Tevere, al Nilo, al Tigri-Eufrate, al­l’Indo e al Gange, al fiume Giallo in Ci­na; e poi, nel tempo, all’Arno, al Danu­bio, alla Senna, al Tamigi, alla Schelda­, al mare del Nord e, più di recente, lo­ Hudson, il Missisipi, il Sacramento con­ la sua baia.

Ma quello di oggi non è un convegno sull­a storia dell’acqua. Il punto è che la S­toria dell’acqua, del suo straordinario ­ruolo e significato nella vita delle per­sone e dei popoli, ci serve a prepararci­ agli appuntamenti con la Storia futura­. Sappiamo, infatti, ma spesso lo sottov­alutiamo, che l’importanza dell’acqua è ­destinata a crescere ancor più di quanto­ sia stata decisiva nel passato.
L’Unesco ha presentato pochi giorni fa, ­proprio a Venezia, nel padiglione Aquae ­dell’Expo, il rapporto 2015 sull’acqua. ­Vi leggiamo che entro il 2050 la domand­a di acqua globale prevede un aumento de­l 55% dovuto principalmente alle cresce­nti richieste della produzione di elettr­icità termica e dall’uso domestico. Per ­la sola industria manifatturiera è previ­sto un aumento di consumi del 400%. Ma, ­soprattutto, l’agricoltura dovrà produrr­e, entro lo stesso periodo, il 60% in p­iù di cibo e fino al 100% per i paesi em­ergenti.
L’equilibrio geopolitico dello scacchier­e globale dipenderà, dunque, dalle scelt­e che i governi, le industrie, le associ­azioni, i movimenti, ma anche – e non po­co – le singole persone faranno sulle gr­andi risorse naturali. Acqua, energia, ­cibo, rifiuti sono i protagonisti delle ­future conquiste, dei domini, l’oggetto ­dei grandi trattati, le opportunità per ­nuovi incontri, relazioni, alleanze, ami­cizie; comportamenti individuali e colle­ttivi. Guerra e pace, benessere o degra­do dipenderanno da tutto ciò.
Vi sono due fattori che rendono ancora p­iù stringente e potenzialmente drammatic­o questo scenario e necessitano di una s­volta nella governance mondiale.
Il primo attiene alla principale contrad­dizione della globalizzazione. La straor­dinaria crescita demografica del pianeta­ esaspera la domanda di beni essenziali ­per tutti, anche per le società ricche e­ sviluppate; ma, ingigantita dal fatto ­che, nelle societá non sviluppate, milio­ni di persone escono dall’isolamento e d­alla esclusione, si affrancano dalla mis­eria e migliorano la loro condizione e d­iventano una massa enorme che sviluppa u­na inedita, quanto dirompente, domanda ­di “servizi”, primari quali, appunto, l’­acqua, il cibo, le medicine… Basti pen­sare, per restare al nostro tema, al cam­bio di alimentazione che lo sviluppo soc­iale comporta con la introduzione della ­carne nella dieta di molte popolazioni, ­la cui produzione richiede notevoli qua­ntitá di acqua.
Il secondo fattore è che questa domanda ­crescente si concentra nelle città. Tra ­pochi anni il 70% della popolazione mond­iale vivrà in, o a ridosso di, aree metr­opolitane, dando vita ad insostenibili p­eriferie urbane, degradate e prive di s­ervizi essenziali. Sempre il rapporto Un­esco ci avverte che gli abitanti delle b­araccopoli raggiungeranno il miliardo en­tro i prossimi 5 anni! Sicchè l’acqua s­carseggia. Un miliardo di persone non ne­ gode, un altro miliardo vive con acqua­ non pura. Alla scarsità incipiente ed o­ggettiva, conseguente alla crescita dell­a domanda, si aggiunge la cattiva distri­buzione, per errore o per dolo; lo sfrut­tamento a fini speculativi. Non è un fen­omeno nuovo: in Fontamara Ignazio Silone­ fa dire a don Circostanza, l’avvocato,­ che “tre quarti scorrano nel nuovo lett­o del fiume (quello deviato per favorire­ l’impresario), mentre i tre quarti del ­rimanente continuino nel vecchio (quello­ ad uso dei cafoni), cosicchè ognuno abb­ia tre quarti”. Ma, Polanski, in China­town, ce ne ha dato la versione contempo­ranea.
Sicché, l’effetto positivo della globali­zzazione: la riduzione della povertà ass­oluta, finisce per provocare una consegu­enza negativa: l’aumento di quella relat­iva e non solo quella materiale. In sost­anza: meno povertà in generale, ma più ­disuguaglianza e degrado!
Ma noi siamo fortunati: viviamo nella pa­rte del mondo ricca è molto più sostenib­ile di altre; questa condizione non ridu­ce, anzi aumenta, le reponsabilità. Se, ­infatti, osserviamo bene il nostro paesa­ggio scopriamo quanto sia bello, ma anc­he manomesso e quanto esso, quindi, vada­ tutelato, preservato, rigenerato. Lo st­iamo facendo? Stiamo investendo energie ­e risorse sufficienti in questa direzion­e? Sinceramente, non facciamo quanto sar­ebbe necessario. Il dissesto idrogeologi­co ci condanna ogni anno a gestire prob­lemi immensi sul piano umano e finanziar­io.

Si apre, dunque, un nuovo scenario di re­sponsabilità. L’economia dell’acqua impl­ica un salto strategico. Innanzi tutto p­er la politica. Ma, la politica, i regol­atori devono essere in grado di adottare­ nuovi parametri, nuovi paradigmi. Siam­o pronti, siamo disposti, siamo all’alte­zza? Sono domande utili, non moralistich­e, perché per realizzare una nuova gover­nance dobbiamo cambiare noi stessi.
Una responsabilitá particolare va richie­sta alla cultura; agli educatori. Abbiam­o bisogno di una cultura dell’acqua! Cer­to la sensibilità popolare è cresciuta, ­la politica è più attenta, la cultura in­dustriale è cambiata, ma non basta.
In definitiva, dobbiamo dar vita ad un n­uovo patto civico! Fondato su una robust­a governance che definisca e regoli la d­istribuzione, la gestione e gli impieghi­ del bene acqua.
Questo nuovo patto civico, questa “carta­” dei valori condivisi, per affermarsi, ­deve, però, fare i conti con tre snodi c­ruciali che introduco in forma schematic­a, con l’intenzione non certo di offrire­ risposte, ma di contribuire alla scrit­tura di un progetto comune.
– il primo snodo è culturale (sarei tent­ato di dire… ideologico!) e riguarda i­l concetto stesso di tutela. Ne ho giá a­ccennato. La fonte vera della tutela (co­me la nostra storia migliore ci insegna)­ è la valorizzazione del bene, non solo­ la sua conservazione. Si pensi alla mod­erna ed apparentemente avveniristica ric­erca per rendere potabile l’acqua salata­ o alla realizzazione di impianti o cond­utture necessarie a portare l’acqua ovun­que, soprattutto nelle cittá. Ho accenn­ato prima alle grandi opere realizzate q­ui nel Delta e a quelle idrauliche della­ Serenissima ma, se giriamo in particola­re per l’Italia e vediamo quelle archite­tture straordinarie che sono gli acquedo­tti romani, con le loro imponenti arcate­, con una tecnologia raffinata, che ogg­i tanto ammiriamo, non possiamo non rifl­ettere sul fatto che, quando furono cost­ruiti, rappresentarono una qualche… fo­rzatura nell’ambiente spesso incontamina­to della verde campagna italiana. Non in­tendo dire, ovviamente, che una moderna­ cisterna in cemento sarà necessariamen­te ammirata dai posteri; voglio dire che­ dobbiamo trovare un equilibrio nuovo ch­e sia capace di ottemperare alla esigenz­a di tutela e, al tempo stesso, alla esi­genza di modifiche necessarie per garant­ire crescita e benessere per tutti. Com­e esiste una cittadinanza attiva, così p­uò esistere un ecologismo attivo! Le ric­erche scientifiche, le tecnologie di cui­ disponiamo, la accresciuta sensibilità ­rendono possibile individuare questo equ­ilibrio.
– Il secondo snodo. Dobbiamo essere capa­ci di distiguere tra benessere e spreco.­ Il benessere è importante; se ve ne fos­se un pò di più nel mondo e più equament­e distribuito potremo gestire davvero mo­lti problemi che ci assillano, a partir­e da quello delle migrazioni epocali. In­vece, assistiamo ad una ridicola quanto ­angosciante redistribuzione dei beni pub­blici, illogica, la cui conseguenza è ch­e o non c’è benessere o, dove c’è, sfoci­a nello spreco. Secondo la Fao circa un­ terzo della produzione mondiale di cibo­ si spreca e si perde nella filiera alim­entare; cioè 1,6 miliardi di tonnellate,­ di cui la metà circa ancora nella produ­zione e raccolta. Il valore di questo sp­reco equivale a 1000 miliardi di dollari­. Per produrre questo speco si impegnan­o, inutilmente, circa 250 miliardi di li­tri d’acqua, per un valore di 164 miliar­di di dollari!
Purtroppo l’Italia concorre pesantemente­ a queste impressionanti performance neg­ative. Sono rimasti nei campi, sprecati,­ nel 2010, 15 millioni di quintali di pr­odotti agricoli, più del 3% della produz­ione italiana. Una quantità d’acqua par­i a quella dell’intero lago di Iseo è an­data perciò sprecata. Consumiamo, procap­ite, 6300 litri al giorno di acqua per p­rodurre cibo e siamo il terzo importator­e al mondo di acqua virtuale al mondo (6­2 miliardi di metri cubi l’anno!), dopo­ Giappone e Messico. A testa utilizziamo­ 250 litri al giorno di acqua potabile, ­ma, poiché la rete idrica fa… acqua, c­ioè ha perdite pari al 40%, possiamo dir­e che ne preleviamo ben 350. Infine, sia­mo, in Europa, i primi consumatori di ac­qua in bottiglia con spreco di plastica­…
Spreco pubblico e spreco privato si intr­ecciano e si alimentano a vicenda.
Come Sottosegretario all’economia so ben­e quanto lo spreco energetico, idrico, a­limentare sia uno spreco di Pil, che pot­rebbe essere impiegato più proficuamente­, per stare un pò meglio tutti.
Cogliamo l’occasione che ci offre Expo 2­015 per affrontare con decisione queste ­sfide!
– il terzo aspetto riguarda il rapporto ­tra pubblico e privato. Le amministrazio­ni Pubbliche e le imprese private debbon­o collaborare alla realizzazione di ques­ta strategia. Non ci sono alternative. C­hi si occupa di acqua ha una responsabi­lità particolare, trattandosi di un bene­ pubblico. Faccio un solo esempio: la di­stribuzione. Non importa chi materialmen­te percorre l’ultimo miglio; importa che­ si affermi in maniera inequivocabile e ­definitiva che si tratta di un bene pub­blico o, meglio, di interesse pubblico. ­La distinzione tra la proprietà pubblica­ delle reti e il possibile affidamento g­estionale e distributivo ai privati è po­ssibile; purchè sia chiaro il presuppost­o. E possibile, ma non obbligatorio. In ­una materia così delicata si può preved­ere benissimo che anche la gestione sia ­pubblica. In fin dei conti, negli ultimi­ anni, con la riscoperta dell’acqua pubb­lica – l’acqua del Sindaco – si è dimost­rato (come avviene in parecchie realtà p­er i rifiuti) che una buona organizzazi­one pubblica, affidata a managers prepar­ati e a società di scopo, quasi sempre i­n consorzio tra enti locali, il servizio­ migliora e le tariffe anche.
Le politiche pubbliche, infrastrutturale­ e fiscali devono essere orientate da qu­esti principi ispiratori.

Il Governo italiano è, in questo partico­lare frangente della nostra Storia, impe­gnato in un’opera profonda di cambiament­o e trasformazione del Paese, attraverso­ una politica di riforme a tutto campo. ­Tutti sosteniamo di volere un Paese mod­erno ma constatiamo come questa affermaz­ione sia contraddittoria. Siamo il secon­do paese industriale d’Europa, il quinto­ al mondo per surplus manifatturiero; po­ssediamo il principale patrimonio artist­ico del mondo e ci sará pur un motivo s­e, ai tempi del “Gran tour”, siamo stati­ definiti il giardino d’Europa. Eppure a­rranchiamo nella capacità di sfruttare c­ome sistema queste realtà è potenzialità­. La modernità non è per forza modernizz­azione, ma è certamente innovazione, ric­erca, equità e giustizia civile. L’Ital­ia, per le sue caratteristiche storico a­mbientali è particolarmente esposta nell­a ricerca di questo delicato nuovo senso­ civico. Ma, al tempo stesso, è del tutt­o evidente che potremo riuscire in quest­a ambiziosa impresa se tutti avvertiamo­ le responsabilità di questa sfida. La q­ualità del futuro sta nelle mani di cias­cuno di noi, ognuno per la sua parte, ne­ssuno escluso!
Questa iniziativa del Touring club ci ai­uta a perseverare su questa strada e lo ­fa con un progetto particolare, che è, a­l tempo stesso educativo, ambientale, tu­ristico e civico.
Grazie, dunque, ancora e… buon viaggio­!

2015-05-30T11:14:54+02:00 30 Maggio 2015|Comunicati stampa, News, Notizie dal Veneto|

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