ROVIGO – Quale futuro economico per il Polesine? La domanda l’ha posta il vescovo di Rovigo Lucio Soravito De Franceschi come tema dell’undicesimo incontro annuale dei politici e degli amministratori di tutta la provincia. Come spunto cardine la fusione delle Camere di commercio di Rovigo e Venezia, presto prenderà vita un unico organo con un seguito di 123mila imprese. Al Centro giovanile Don Bosco il 19 gennaio alle 17.30 un buon pubblico ha seguito il dibattito, le cui conclusioni sono state affidate al sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.
Ringrazia le autorità e i partecipanti Soravito de Franceschi “Bello trovarsi qui per l’undicesima volta, viene in un tempo segnato da una pesante crisi economica che ha influito molto, creando parecchia disoccupazione. Edilizia, metalmeccanica, tessile, i settori più colpiti, molti adulti e ancor più molti giovani non riescono a trovare lavoro, vicinanza e solidarietà per loro. Questa crisi ci costringe a maturare un nuovo corso comune, tutti i lavoratori devono unire gli sforzi. Questa situazione ci chiede di passare dalla concorrenza alla convergenza, tutti uniti per il bene comune. Con l’individuazione di indirizzi giusti è possibile trovare soluzioni. La collaborazione tra Cciaa di Rovigo e Venezia è preziosa”.
Questo accorpamento tra organi camerali è stato preso ad esempio per elevare il concetto di bene comune, ad illustrare il progetto il presidente della Cciaa di Rovigo Lorenzo Belloni: “Saremo le prime due camere di commercio ad intraprendere questa sfida. La vedo come una grande opportunità, il percorso è quasi concluso. Questa nostra sfida, questa nostra operazione non è stata subita, nessuno ci ha detto che dobbiamo fare. Purtroppo non tutti gli enti avranno questo tipo di possibilità, in particolare le Province, i cui dipendenti subiscono un’imposta riduzione che non tiene conto in maniera equa, non intelligente e demagogica del personale. Sarà un’unica camera senza licenziamenti e trasferimenti di personale”.
“Il Veneto è rappresentato da aziende col target molto similare – estende il proprio ragionamento Belloni – molta attenzione al primario e alla piccola media impresa artigiana. Pesantezza dell’apparato burocratico, l’Italia ha una zavorra tale per cui le imprese non riescono a risollevarsi e non siamo attrattivi per investitori di altri Paesi. I numeri sono incontrovertibili, ci sono dei segnali di ripresa e il mondo economico li auspicava. Il Jobs act ci dà speranze, le Province sono state chiuse in un modo non controllato che ha portato grossissimi disagi. Se l’idea imprenditoriale non sta in piedi da sola i supporti non servono a nulla, la pubblica amministrazione deve pensare prioritariamente a non rallentare lo sviluppo”.
Per Giuseppe Fadalto, presidente Cciaa Venezia, “Il vero valore dell’operazione di fusione è stata la volontarietà, il coraggio degli amministratori di scegliere questo accorpamento. Fare è un verbo che viene utilizzato male, spesso in maniera autocelebrativa, a volte per sollecito per scaricare i compiti. Paradossalmente questo è l’ambito della pubblica amministrazione, che tende a far fare e fare poco di suo. Dobbiamo diventare innovatori, non per legge ma per base volontaria. Semplificazione amministrativa è anche ridurre il numero di enti, individuare gli assi strategici e individuare le priorità”.
“Le idee prevarranno sempre sugli interessi costituiti”, cita l’economista John Mainard Keynes il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta nel fornire i suoi spunti per camminare insieme e uscire dalla crisi: “La fusione delle due Cciaa è segnale di prospettiva. La crisi è una dimensione drammatica che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, da quando otto anni fa è scoppiata e ci ha travolto abbiamo sensazioni piccole, timide, che il peggio sia passato. Il vero compito dei governi in economia non è fare, è creare le condizioni. Siamo un lievito su una pasta più complessa”.
“Jobs act – prosegue Baretta – e interventi sul lavoro nostri consentono alle imprese di regire, le prime assunzioni sono state venete. Bisogna fare in modo che gli interventi governativi siano uno stimolo, cnsentano alla libera iniziativa di uscire. Qualche leggero segnale di ripresa si vede, se ci siamo detti che dovevamo uscirne migliori, stiamo perdendo l’occasione? La crisi comporta fatiche ma contiene opportunità di cambiamento. La capacità di risposta sta nel progettare pezzi di futuro, l’occasione c’è ed è importante, ci vuole cultura della ripresa. Se non ragioniamo sulla qualità della ripresa e solo sulla quantità, se non innestiamo fiducia nella nostra comunità si perde l’occasione.
Famiglie e persone tendono a metter via e difendere quanto hanno, chi ha liquidità non investe. I timori che si peggiori sono comprensibili, le imprese non investono e le famiglie non consumano, il blocco va rimosso. Piccoli passi ma facciamoli, i provvedimenti del Governo servono ad offrire elementi di fiducia. Per provare a dare un contenuto a questa riflessione ci dovremo domandare cosa è cambiato in questi ultimi otto anni”.
Tre i settori in cui il cambiamento per Baretta s’è sentito di più: “La demografia, siamo il terzo paese al mondo con l’aspettativa di vita più alta, il nostro impianto di welfare deve essere adeguato alla domanda, tenendo conto che il livello delle nascite resta molto basso; la mobilità di merci e persone, ci si muove per affari, per piacere o per disperazione; tecnologia e comunicazioni, la velocità dei processi si nota nelle nostre tasche. Siamo di frotne ad una velocità tale di affrontare i problemi in una chiave nuova che la pubblica amministrazione non si può esimere. È un obbligo, una necessità, un’urgenza”.
Quali sono le strategie allora? “Riflettendo, – si risponde Baretta – mi sembra che con qualche articolazione constato che quello che serva all’Italia per uscire dalla crisi valgano per Veneto e Polesine. Ci sono tre grandi assi di intervento: industria manifatturiera, turismo (sole e monumenti non sono delocalizzabili) e il Polesine valorizza anche più di ciò che ha; logistica, perchè l’Italia è una piattaforma nel Mediterraneo. Servono segnali di incoraggiamento alla sinergia, riorganizzazione ed efficentamento dei servizi pubblici e privati. Siamo ancora troppo fermi sulle partecipate”.
Luigi Franzoso
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