VENEZIA — Il governo Letta è arrivato al capolinea. Il premier aveva rimesso alla direzione nazionale del suo partito il verdetto finale su questi dieci mesi trascorsi a Palazzo Chigi ed il suo partito, il Pd, ha deciso che può bastare così. Meglio che al suo posto vada il segretario Matteo Renzi, l’unico (pare) in grado di dare «la scossa» di cui il Paese ha bisogno, senza che però si debba passare dalle elezioni: il parlamento resta quello che è, si cercheranno nuove maggioranze. Nessuno dei dieci veneti che siedono in direzione ha preso la parola durante il requiem per «l’amico Enrico»: Rosanna Filippin, segretario regionale uscente, lettiana senza pentimenti, non ha partecipato al voto. Margherita Miotto, dell’area Bindi, si è astenuta. Felice Casson è stato tra i pochi voti contrari (appena 16 su 154), sulla scia di Pippo Civati («Dobbiamo tornare al voto – ha detto Civati dal palchetto – ridare la parola ai cittadini. Questo passaggio su cui insistete lo trovo assai poco democratico»). Tutti gli altri, dal segretario regionale in pectore Roger De Menech al vice capogruppo alla Camera Andrea Martella, da Alessia Rotta a Simonetta Rubinato, da Federico Vantini a Daniela Sbrollini, compresa la (fu) civatiana Laura Puppato, hanno votato per l’avvio del «Renzi I».
Questa mattina, prima di salire al Quirinale, Letta riunirà il consiglio dei ministri per una riunione che sarà un congedo, un «grazie a tutti e arrivederci». Quasi certamente sarà l’ultima volta di Flavio Zanonato da ministro dello Sviluppo: il dicastero è considerato da Renzi, con l’Economia, il primo in cui fare tabula rasa, quello in cui va dato subito il segnale di «un cambio di passo». Non depongono a favore di Zanonato neppure l’età (il giovanilismo renziano è notorio) e, inutile nasconderlo, i pessimi rapporti fin qui coltivati col sindaco di Firenze, che non s’è scordato i tweet al vetriolo dell’ex sindaco di Padova all’epoca delle primarie contro Bersani e Cuperlo (Zanonato non resistette alla stilettata neppure da un letto di ospedale, ricoverato a Roma per dei calcoli). Anche ieri il ministro ha parlato esclusivamente a mezzo social network: un primo cinguettio a favore di Letta («Molto bravo Enrico Letta partito dai problemi dell’Italia per rivendicare lavoro fatto e proporre, non slogan, ma soluzioni #impegnoitalia»), un secondo che molti hanno interpretato all’indirizzo di Renzi («Hic Rhodus hic salta», ossia «Qui è Rodi, qui devi saltare», passo di una fiaba di Esopo in cui un atleta sbruffone viene invitato a dimostrare d’essere in grado di compiere il salto di cui si vanta), un terzo con una laconica citazione di Prodi: «Faccio gli auguri al Paese che ne ha tanto bisogno ma ricordiamoci che ci vuole un accordo con l’Ue perché da soli non ce la facciamo». Con lui sembrano destinati a dire addio alla compagine di governo anche gli unici altri due veneti nell’esecutivo, l’alfaniano Alberto Giorgetti (che i più dicono prossimo al ritorno in Forza Italia con Berlusconi), che pagherebbe l’annunciato ridimensionamento del Ncd, ed il franceschianiano Pier Paolo Baretta, entrambi all’Economia. Baretta ammette che «è difficile negare l’appannamento del governo in queste ultime settimane» ma avverte: «L’empasse dell’esecutivo Letta è conseguenza dell’empasse politica che si è venuta a creare, che rimane e mi pare complicata da superare. Non vorrei che qualcuno pensasse di cancellare i problemi cambiando le persone: sarebbe un illuso. Quanto all’azione di governo, la storia dimostrerà che siamo riusciti a trascinare l’Italia fuori dalla peggiore recessione della sua storia».
Un merito che non pare granché riconosciuto dal mondo degli industriali, che anche ieri si sono riuniti a Torino per lamentare che, se proprio non è stato fatto nulla, comunque non è stato fatto abbastanza. Concetto ribadito dal presidente di Confindustria Veneto, Roberto Zuccato, poco dopo la notizia delle imminenti dimissioni di Letta: «Non entro nel merito delle vicende politiche di queste ore, quello che sottolineo è che il grido che sale da noi imprenditori è che abbiamo bisogno di risposte e interventi ora e subito – afferma Zuccato -. Lo diciamo da sempre: per agganciare il treno della ripresa serve un cambio di passo. Abbiamo bisogno di un governo che metta in cima alla lista dei suoi obiettivi, oltre che una profonda revisione dell’assetto politico e istituzionale, anche e soprattutto le riforme che aiutino le imprese a fare il loro lavoro: semplificazione, taglio del cuneo e della pressione fiscale. Insomma: alleggerire lo zaino che pesa sulle spalle delle nostre aziende». D’accordo Alberto Baban, presidente nazionale della Piccola Industria: «L’importante è evitare le elezioni perché il Paese non può permettersi mesi di vuoto politico e decisionale. I nomi non ci interessano, quel che ci importa sono i contenuti e, soprattutto, i risultati. Ora la palla è stata rimessa al centro: è tempo di giocare una partita tutta diversa». Ilrefrain non cambia nelle stanze del sindacato, dove Franca Porto, segretario della Cisl, va giù piatta: «Non me ne frega nulla delle persone, delle correnti e delle formule, occorre un governo che governi facendo dell’economia e del lavoro la sua priorità, perché l’Italia è allo stremo. Ma stia attento Renzi. Su di lui ci sono grandi aspettative ma non gli è stata data carta bianca: se non ci saranno atti concreti, la fiducia rischia di esaurirsi in fretta». Si vedrà se nella sua opera di convincimento delle categorie il premier annunciato si avvarrà dei servigi dell’amministratore delegato di Luxottica Andrea Guerra, milanese di nascita e bellunese d’azione, dato dai rumors in ascesa dal ruolo di semplice consigliori di «Matteo» a quello di ministro dell’Economia.
Capita l’antifona, il vicecapogruppo Martella avverte: «Serve un segnale immediato di discontinuità che dev’essere favorito da una squadra di governo adeguata all’obiettivo, anche per cancellare l’idea diffusa che si sia trattato di una “congiura di Palazzo”. Non do un giudizio negativo dell’esperienza Letta ma è indubbio che l’azione di governo abbia perso forza col passare del tempo: gli va ridata energia con iniziative choc sul terreno delle riforme e della lotta alla crisi». E se Filippin considera «un azzardo» la mossa di Renzi di salire a Palazzo Chigi ghigliottinando Letta («Il cambiamento non necessariamente doveva realizzarsi in questo modo»), Casson professa tutto il suo pessimismo: «Pensare di continuare fino al 2015 con questa strana maggioranza mi pare del tutto irrealistico, oltre che sbagliato. Dalla giustizia all’economia, passando per l’ambiente, la nostra visione è del tutto inconciliabile con quella del centrodestra». Un orizzonte complicato per il Veneto che dalla vertenza Electrolux allo stato di calamità post alluvione (per non dire dell’abolizione delle Province e la città metropolitana di Venezia) attende da Roma risposte importantissime, al più presto.
Marco Bonet
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