“25 milioni in più per il fondo per la non autosufficienza, che tornerà quindi a 275 milioni, la stessa cifra stanziata lo scorso anno. E, in più, l’impegno, da parte del Parlamento, a reperire ulteriori risorse che saranno definite nelle prossime ore e andranno finalizzate esclusivamente alle disabilità gravi e con particolare attenzione alla domiciliarità”: così Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, sintetizza le conclusioni dell’incontro con i rappresentanti del Comitato 16 novembre, che si è svolto questa mattina presso la commissione Bilancio del Senato. Un incontro seguito all’ennesima manifestazione, ieri, da parte dei malati e le famiglie aderenti al comitato, durante il quale il segretario Usala e altri hanno staccato l’alimentatore dei respiratori, per protestare contro la disattenzione del governo alle proprie richieste.
Qual è, in definitiva, l’impegno che si assume il governo, di fronte alle pressanti richieste del Comitato?
Innanzitutto, siamo intenzionati ad affrontare il tema della disabilità e la non autosufficienza in generale, seppur con un’attenzione particolare alle disabilità gravi, tra cui la Sla, ma senza arrivare all’esclusione delle altre tipologie. In questo senso, mentre nel 2010 il governo di allora aveva stanziato una certa cifra (100 milioni, ndr) solo per i malati di Sla, negli anni successivi abbiamo preferito ripristinare il Fondo per la non autosufficienza, che proprio in queste ore ci siamo impegnati a riportare da 250 milioni a 275, come lo scorso anno. Il senato si è peraltro impegnato, sempre durante l’incontro di stamattina, a trovare ulteriori risorse, che dovranno essere definite nelle prossime ore e andranno in maniera esclusiva finalizzate alle disabilità molto gravi, con particolare attenzione alla domiciliarità.
Un incontro positivo, quindi?
Sì, un incontro positivo. Ma voglio sottolineare che, a questo punto, è necessario che sia il governo che il parlamento, insieme anche alle associazioni, affrontino l’intero capitolo e non con una sola associazione. Quindi ritengo opportuno che riparta il tavolo che si è aperto il 5 novembre scorso presso il ministero della Salute, a cui il comitato 16 novembre ritenne di non partecipare. Abbiamo inoltre assicurato che sarà garantito anche ai malati di sla il riconoscimento della disabilità al 100 per cento e una procedura più snella per quanto riguarda le visite di controllo, nei casi di malattie degenerative. Riconosciamo che servirebbero più risorse faremo tutto lo sforzo possibile per incrementarle.Il fondo per la non autosufficienza, così come quello per le politiche sociali, viene rinegoziato ogni anno in sede di legge di stabilità.
Non sarebbe possibile stabilizzarlo?
La strutturalità del fondo è l’obiettivo che condivido e che perseguo, perché non è opportuna né per noi, né per i malati, né per il paese questa sensazione di instabilità su temi così importanti. La pressione per l’aumento quantitativo del fondo, pur essendo assolutamente comprensibile, porta però a privilegiare le risorse piuttosto che la loro strutturalità. Io insisto a tutti i livelli perché si arrivi più rapidamente possibile a definire un quadro sistematico. Valuteremo successivamente se ci sono risorse aggiuntive.La sanità ha subito negli ultimi anni notevoli tagli: ci sono sicuramente sprechi, ma al tempo stesso sono necessari incrementi di spesa.
Dove è possibile tagliare e dove invece si deve investire? Il Comitato chiede, per esempio, di ridurre i fondi alle Rsa per investire sulla domiciliarità. Cosa ne pensa?
Quando si parla di spesa pubblica, in periodo di spending review, bisogna distinguere tra servizio e spreco. Tutto lo spreco che si riesce ad abolire deve essere investito sul servizio. Questa è la sfida che va accolta: individuare aree di spreco per ridistribuirle sui diversi servizi. Da questo punto di vista bisogna attrezzarsi, per esempio assumendo i fabbisogni standard e non la spesa storica come criterio per individuare i bisogni e costruire sulla base di questi. Per quanto riguarda la domiciliarità, questa va indubbiamente favorita ed è anche probabile che una buona assistenza domiciliare finisca per procurare risparmi complessivi: l’idea è buona, ma non bisogna cadere nell’equivoco di porre in alternativa l’assistenza domiciliare e il suo massimo sviluppo con l’abolizione delle strutture fisse: equivoco porta a mettere una cosa contro l’altro. Dobbiamo cioè investire sull’assistenza domiciliare, ma sapendo che per alcune situazioni è l’ideale, mentre per altre la presenza di strutture fisse resta una valida risposta.
Il progetto “Restare a casa”, sottoposto al governo dal Comitato, chiama in causa tre ministeri. Non mi pare che però questi si siano mai espressi nel merito della proposta..
Non è vero: sia il 23 ottobre sia il 5 novembre, tutti i ministeri hanno espresso un parere favorevole e condiviso sul progetto. La questione non è se, ma come e in che tempi mettere in atto la proposta. Il governo condivide l’idea di privilegiare la strada indicata dal modello Sardegna: non esistono obiezioni, ma anzi un parere favorevole. Però le modalità, i tempi e le risorse non sono così semplici come vengono illustrati nel progetto. Ci tengo però a ribadire che il governo favorisce questa impostazione e ci sta lavorando. Gli incontri che sono stati organizzati e che ancora continueranno hanno tra gli obiettivi proprio la definizione delle modalità di realizzazione del progetto.
Un’opinione a freddo su questi ultimi due giorni e, in generale, sui modi della protesta del Comitato?
Credo ci sia un equivoco di fondo che si fa fatica a sciogliere: il comitato ha alle spalle un lungo periodo di promesse mancate e disillusioni, che lo porta a due conseguenza: da un lato, ad essere comprensibilmente poco fiducioso nelle istituzioni, dall’altro a pensare che solo con forme di protesta eclatanti si possa ottenere qualcosa. Io invece credo che il dialogo sia più produttivo e non voglio che passi l’idea che questi risultati oggi si sono raggiunti perché si minacciava di staccare i respiratori: i risultati si sono raggiunti perché ci sono giuste cause, dialogo, sensibilità. Esco da queste due giornate con la convinzione che si debba cambiare metro: passare dallo scontro alla collaborazione, fare un salto di qualità reciproco, che riguardi le istituzioni nell’ottica di una visione più ampia e le associazioni nell’ottica di un’alleanza e di una forte collaborazione. Il governo deve essere messo alla prova per quello che e per la strada che ha intrapreso. (cl)
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