Il sito previnfoma.it, specializzato nell’approfondimento delle tematiche del Welfare e dei sistemi pensionistici complementari, pubblica oggi un’intervista al sottosegretario Baretta realizzata da Gianni Ferrante.
Leggi l’intervista direttamente sul sito previnfoma.it, oppure qui sotto. Cos’è l’associazione Previnforma? Visita previnfoma.it_______________________________________________________________
Siamo ormai in fase di definizione della legge di Stabilità. Dal punto di vista previdenziale assume particolare rilievo la questione della rivalutazione delle pensioni, nonché l’ incidenza del fisco sui redditi da pensione eventualmente rivalutati.
Sulla rivalutazione abbiamo provveduto a un parziale sblocco rispetto alla situazione precedente. Una soluzione non completamente soddisfacente per gli interessati, perché resta una progressione in termini di blocco mano a mano che cresce l’entità dell’assegno pensionistico, ma i limiti sono dati dalla carenza di risorse.
Resta, comunque, aperto un dibattito politico circa il fatto che molti di noi sono convinti che intervenendo sulle pensioni alte si potevano recuperare delle risorse da destinare a un miglioramento della parte sottostante. Su questo si sono innestati due problemi: uno formale da parte della Corte costituzionale, che già ha bloccato provvedimenti precedenti e l’altro nel Pdl che non considera utile un intervento sulle pensioni alte. Un dibattito ancora aperto che non si concluderà con la legge di Stabilità, perché bisognerà arrivare al recupero integrale della rivalutazione, sapendo però che occorre contemporaneamente recuperare risorse all’interno del sistema.
Restando alla legge di Stabilità, come stanno le cose sul potenziamento del Fondo di garanzia, uno strumento importante per favorire la ripresa dell’erogazione del credito da parte delle banche e favorire il sistema delle piccole e medie imprese?
È un aspetto assai condivisibile e molto condiviso. Ci si sta ancora lavorando, tenuto conto che ci sono snodi tecnici soprattutto intorno al ruolo che può giocare la Cassa depositi e prestiti. La Cassa, infatti, non rientra nel bilancio dello Stato, ma un suo intervento massiccio potrebbe essere interpretato dall’Europa come surrogato dell’intervento pubblico e quindi comportare una riclassificazione del debito.
Una soluzione che prevedesse un rafforzamento del Fondo di garanzia avrebbe un significato molto importante in questo momento, sapendo che le banche lamentano problemi di insolvenza. Inoltre consentirebbe di affrontare un tema più vasto, quello del rifinanziamento dell’economia reale attraverso una pluralità di strumenti.
Quale ruolo spetta alla Cassa Depositi e prestiti? Viene spesso evocata come sponda per la soluzione dei problemi più diversi, ma molti ne lamentano i ritardi nella capacità d’intervento: nel caso specifico il riferimento è alla possibilità d’indirizzare le varie forme di risparmio verso il credito e l’investimento.
In generale c’è un deficit nel Paese sul dibattito intorno al ruolo del “pubblico” a sostegno dell’economia. Per un lungo periodo ha prevalso l’intervento diretto, poi si è passati al suo contrario. Sta di fatto che la realtà è più complessa. Se guardiamo all’elenco delle partecipate pubbliche, vediamo che ce n’è ancora un numero considerevole. Questa divaricazione ha finito per comportare una carenza sui sistemi di finanziamento; insomma, nel passato e nel presente (penso, per esempio, al Mediocredito centrale, alle Casse di credito cooperativo) esistono linee di finanziamento dell’economia reale che si sono collocate in una chiave di proposta più che di risultato in termini di profitto. La Cassa depositi e prestiti ha finito per caricarsi di questi significati e dei vuoti presenti nella discussione.
Penso, in sostanza, che la Cassa abbia un ruolo importante: può essere il punto di collegamento anche con il sistema creditizio vero e proprio, in una funzione di stimolo.
C’è però un problema di capitalizzazione della stessa Cassa: non tanto a breve, ma se il ruolo diventa quello di agente di governo il problema si pone. Nello stesso tempo non penso debba essere l’unico strumento cui affidarsi; c’è un patrimonio immobiliare, di siti industriali, né va tralasciato il problema delle reti.
La Cassa già oggi fa molti interventi verso le piccole e medie imprese, così come nel processo di privatizzazione, dove esiste un dossier aperto. Quindi, per concludere su questo punto, accanto al favore per un accresciuto ruolo della Cassa, vedo due problemi: uno quello della capitalizzazione, l’altro che la questione sia inquadrata dentro un più generale disegno di politica industriale.
Il sistema previdenziale poggia ormai da quasi due decenni su due pilastri. Mentre la previdenza pubblica ha vissuto ripetuti interventi riformatori, a quella complementare è stata messa una sordina, che non trova una sufficiente spiegazione nella pur prolungata crisi economica.
Se nelle intenzioni i due pilastri dovevano camminare paralleli così non è stato, nonostante le buone performance dei Fondi pensione e l’esperienza di buona gestione. Tutti dicono che bisogna rilanciare il processo d’informazione e la promozione delle adesioni ma nessuno fa nulla; eppure, nonostante la crisi, si registrano discreti spazi per il risparmio e la sua collocazione.
L’analisi è corretta. Purtroppo da un po’ di anni invece di spingere ci si è un po’ seduti. Penso che le ragioni siano molteplici. La prima è che la crisi ha portato a concentrare il dibattito politico sull’equilibrio previdenziale pubblico, vedi la riforma Monti-Fornero. Energie e attenzione sono state indirizzate intorno all’età del pensionamento, su coloro che stavano per andare in pensione più che sul problema di medio periodo. Si è affidata la soluzione del problema previdenziale solo a un aspetto: affrontare nell’immediato il problema dei costi, sottovalutando che questo non risolveva il problema di lungo periodo.
La seconda ragione è che paradossalmente proprio la riforma Monti Fornero-avrebbe dovuto portare a uno stimolo ancora più clamoroso per ampliare la previdenza complementare. Il sistema contributivo, ora esteso a tutti, è un sistema equo a condizione di mercato del lavoro stabile. Se entro in un posto di lavoro e ci resto per la vita, ovvero se non ho interruzioni nel lavoro, il sistema contributivo mi corrisponde effettivamente quello che ho lavorato. Ma, in un mercato del lavoro “a buchi” il tasso di sostituzione per le giovani generazioni sarà drammatico e questo è sicuramente un tema sottovalutato.
C’è però anche una responsabilità dei protagonisti. Quello che è stato un aspetto positivo della previdenza complementare italiana, e cioè aver fatto si che si evitassero approcci speculativi mantenendo l’attenzione sull’obiettivo pensionistico, ha prodotto effetti che a un certo punto si sarebbero dovuti affrontare: si veda, per esempio, l’eccessiva frantumazione dei Fondi, per cui, se è vero che i bacini di riferimento non si esauriscono facilmente, resta il fatto che se in una singola categoria si è raggiunto un livello di adesioni x, dopo l’attenzione va calando; mentre invece, se pensassimo ad un’unificazione per grandi settori – industria, ecc. – questo potrebbe rappresentare un incentivo alle adesioni.
Né va dimenticato che manca completamente la previdenza complementare nei settori pubblici. Si può in un Paese che ha tre milioni di dipendenti pubblici non aver dedicato un’adeguata attenzione alla previdenza complementare di questi settori?
Un altro aspetto è rappresentato dall’offerta. Il fatto che i Fondi si siano concentrati fondamentalmente sulla difesa della pensione, ha comportato la sottovalutazione del dato di realtà che negli ultimi tempi, un po’ per la crisi un po’ per ragioni di cambiamento sociale, il Welfare ha acquisito una dimensione più ampia: vedi, ad esempio, la sanità integrativa. Quindi: gli stessi attori della previdenza complementare dovrebbero rilanciarla attraverso una sfida più ampia, legata alle trasformazioni che si sono verificate.
Un ultimo aspetto, controverso, che vorrei porre, riguarda il fatto che la previdenza pubblica è obbligatoria mentre quella complementare è volontaria. Non voglio aprire un contenzioso complicato, ma se camminiamo su due gambe bisogna che queste siano in equilibrio. Questo non significa che si debba ricorrere per forza all’obbligatorietà ma che, per esempio, si potrebbe liberare una quota parte dei contributi che il lavoratore manda al sistema pubblico per spostare liberamente qualche punto verso la previdenza complementare: una scelta che potrebbe mostrarsi conveniente proprio a fronte di un mondo del lavoro precario. In conclusione, sarebbe utile una stagione di ripensamento sia normativo che sul metodo di adesione.
Vi è un crescente interesse intorno d una possibile partecipazione del risparmio collocato nei Fondi pensione allo sviluppo dell’economia reale e del territorio. La discussione percorre due strade un po’ diverse. Una tende a inserire questa opzione ponendo particolare attenzione ai problemi del debito pubblico; la seconda invece si concentra più sul mercato, sulla disponibilità crescente di prodotti finanziari specializzati (mini-bond, credit fund, private equity), prodotti anch’essi in grado di avvalersi di garanzie che non alterano gli asset d’investimento su cui i Fondi hanno costruito i loro equilibri.
Considero interessanti entrambe i filoni. Sul primo c’è già una strada avviata, tant’è che i Fondi pensione italiani investono già 21 miliardi in Bot e Cct ed è naturale che gli investitori istituzionali compiano questo tipo di interventi. Quando si porrà il problema del Fiscal compact saremo tutti obbligati a una riflessione approfondita, non solo con i Fondi pensione ma con tutto il risparmio italiano per capire se decidiamo di giocarci una partita “alla giapponese”, dove la maggior parte del debito sia in mano agli italiani e questo ci dia un respiro diverso.
Il secondo filone è quello di un intervento sul risparmio in generale per un sostegno all’economia. È vero che nonostante la crisi in Italia esistono ancora consistenti margini per il risparmio. Mi chiedo però che stimoli abbia un singolo risparmiatore se vede una relativa assenza di forme collettive di risparmio. Tornando alla Cassa depositi e prestiti e pensando alle Poste o alle banche di credito cooperativo, ai Fondi pensione, a tutte quelle forme di risparmio collettivo che non hanno una finalità speculativa, mi chiedo se non sia arrivato il momento che si pongano il problema di una piattaforma condivisa.
I Fondi pensione all’inizio, sia per effetto della legge che del comportamento encomiabile degli amministratori, hanno concentrato la loro azione in difesa della pensione, obiettivo principale della loro missione. Però, oggi i Fondi pensione sono diventati adulti e, nonostante i limiti di partecipazione, hanno ormai un’incidenza significativa.
Considero quindi interessante questa strada, nel senso che rappresenta una parte della mobilitazione del risparmio; certo ci vogliono dei piani.
Per finire, qual è la considerazione che si può fare sullo stato del Welfare italiano, pensando quindi a quell’insieme che va dalla previdenza ai fondi sanitari, agli esodati, passando per i crescenti problemi dell’assistenza?
La mia impressione è che il buon livello di copertura assistenziale che siamo riusciti ad assicurare nel passato e che ancora permane, ormai non è proporzionato ai problemi che la nuova domanda fa emergere. Continuiamo ad impegnare importanti risorse nel Welfare. Ma si tratta di un Welfare molto tradizionale. Ci vorrebbe un coraggioso intervento, a partire dai sindacati, dai settori riformisti della politica, per affrontare la domanda secondo cui il Welfare ha bisogno non di un ridimensionamento, visto che non è contraibile – basta pensare all’andamento demografico – ma sicuramente è mal distribuito, rischiando così elementi di iniquità: tante risorse ma allocate in modo tradizionale. Penso ad esempio, a cassa integrazione ed esodati: forse un’uscita flessibile verso il sistema previdenziale potrebbe già dare una risposta più convincente.
Scrivi un commento