Questa mattina sono intervenuto al meeting di “Itinerari previdenziali” dal titolo “Welfare complementare e Assistenza sanitaria integrativa: problematiche, prospettive e operatività” svoltosi ad Abano Terme (Padova).
Sono un convinto sostenitore della previdenza integrativa in generale, e di quella sanitaria nello specifico, e ritengo che su questo tema vada promossa una coraggiosa discussione culturale e politica.
La prima battaglia che va fatta, con equilibrio ma anche determinazione, è sull’idea di welfare. I dati demografici – in primis l’invecchiamento della popolazione – sollevano alcuni problemi per la tenuta del nostro sistema. Se non vogliamo ridurre le prestazioni, affidando al proprio destino milioni di persone, dobbiamo aver chiaro che uno Stato – qualsiasi Stato – non può gestire da solo una domanda in aumento. Se, allora, non vogliamo ridurre le prestazioni dobbiamo integrare quanto il pubblico può dare. L’universalità è un valore che dobbiamo garantire sempre, non solo quando è il pubblico a erogare il servizio o l’assistenza. Efficienza, risparmio qualità e ruolo sociale non sono tra loro incompatibili.
Difendere lo stato sociale, anche in un’ottica di integrazione con il privato sociale, significa consentire una rete di solidarietà e lavoro. È in questa ottica che dobbiamo fare di tutto per accelerare l’uscita dalla crisi. Ecco perché dobbiamo ragionare sull’apporto che il welfare complementare e soprattutto la previdenza integrativa possono dare alla crescita. Le risorse dei fondi pensione sono 110 miliardi, di cui 21 miliardi sono investiti in titoli italiani. E 11 miliardi soni investiti in azioni, di cui solo 660 in azioni italiane. Abbiamo bisogno di rimettere in moto l’economia, per questo penso si possa avviare una riflessione sull’ipotesi di destinare una parte di queste risorse, in maniera trasparente, oculata, controllata, per promuovere la crescita economica e la condizione sociale di questo paese.
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