Politiche di crescita senza rinunciare al rigore: ecco la ricetta

Convegno Koine’
ABBATTERE IL DEBITO PUBBLICO PER RICOSTRUIRE IL FUTURO
Roma, 3 maggio 2012- Sala Convegni del Palazzo della Cooperazione

Intervento di Pier Paolo Baretta (dal sito www.e-koine.com)
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La situazione economica è peggiore di quel che appare e i dati contenuti nel Documento di Economia e Finanza ce lo fanno capire. Il ridimensionamento delle previsioni di crescita, a cominciare dall’abbassamento del Pil, è accompagnato dalla caduta di competitività del nostro sistema produttivo, testimoniata dalle difficoltà della nostra produzione industriale (meno 25% in pochi anni), e dalle conseguenze clamorose sulla disoccupazione, che sta raggiungendo il 10%, con la punta del 35% per i giovani! Dobbiamo assolutamente darci l’obiettivo di crescere di almeno un punto di Pil. Per realizzare ciò servono politiche maggiormente espansive. E questo è il senso del dibattito che si è aperto in Italia, come in Europa.

La presa di coscienza che le questioni della crescita e del debito sono problemi che vanno aggrediti a livello comunitario sta, finalmente, prendendo corpo. In particolare, si sta facendo strada l’idea che l’Europa debba cambiare politica a favore della crescita, pur senza rinunciare al rigore. Anche nel dibattito politico italiano si è aperta questa discussione. Nei giorni scorsi, infatti, abbiamo svolto una intensa discussione, alla Camera, in Commissione bilancio prima ed in Aula dopo, conclusasi con due documenti: uno a seguito di una interessantissima indagine conoscitiva sulla crescita e l’altro come risoluzione sul Documento di Economia e Finanza. Si è trattato di due atti politici rilevanti che indicano un salto di qualità nella discussione. In entrambi i casi abbiamo “forzato” il Governo a prendere decisioni più coraggiose in Italia e ad aprire una nuova dialettica a Bruxelles, che in concreto può voler dire avviare gli eurobond e definire la tassazione sulle transazioni finanziarie, per recuperare risorse da destinare alla crescita.

Ma, in che misura, in Italia, una strategia espansiva, necessaria ed urgente, è compatibile con una finanza pubblica così dissestata? Il debito è un ostacolo che raffredda ogni volontà di sostenere la ripresa e garantire la tenuta sociale aggravatasi in questa lunga crisi. Anche la questione dei debiti sovrani è, ormai, un grave problema europeo e le regole di rientro stabilite con gli accordi comunitari sono rigorosissime ed impegnano tutti. Ma, un conto è raggiungere il livello previsto del 60% in rapporto al Pil partendo dal 70 o dall’80%, come è il caso della Germania o della Francia, altro è partire dal nostro 123%. Dunque, non soltanto il debito in sé, ma, in particolare, questo nostro debito italiano, per la sua dimensione e la sua composizione, rappresenta una palla al piede che ci impedisce, non dico di correre, ma nemmeno di riprendere a camminare. E, per quanto è vero che la soluzione strutturale va affrontata a livello europeo con soluzioni coraggiose, come gli stability bond o un fondo comune, come da alcuni proposto, resta il fatto che sul differenziale che va, diciamo, dal 95% al 123%, non c’è Europa che tenga: ce lo dobbiamo sbrogliare noi. Dobbiamo, allora, se non liberarcene, obiettivo che è, allo stato, evidentemente impossibile, certamente impegnarci a ridurlo il più possibile ed al più presto, almeno al 100%. Il raggiungimento del pareggio di bilancio e la stabilizzazione dell’avanzo primario è il primo passo. Ma non basta. Servono politiche straordinarie!

Se, davvero, assumiamo come punti di riferimento di breve periodo dell’azione politica: l’aumento di 1 punto di Pil e l’abbattimento a sotto il 100% del debito, dobbiamo fare i conti con alcune questioni preliminari non risolte.

La prima: tutta la problematica relativa alla qualità della crescita, alle opzioni Paese in termini di politica industriale (o in qualsiasi altro modo la si voglia chiamare) è sostanzialmente assente dalle scelte della politica e dell’economia, che privilegia discutere di consumi, ma troppo poco di fattori (si pensi alla lentezza della banda larga) o di settori (basta riferirsi alla contraddittoria storia dell’energia: dalla fallimentare opzione nucleare, alla vicenda degli incentivi per ‘industria green). È invece fondamentale, proprio nell’ottica degli obiettivi di Lisbona e di Europa 2020, porci il problema della fisionomia industriale dell’Italia del 2020.

La seconda: che rapporto esisterà tra l’avanzo di bilancio (previsto addirittura del 5,6 nel 2015) e le politiche di investimento pubblico? Cioè, ogni risorsa va a riduzione del debito o bisognerà trovare spazio per investimenti? Non dimentichiamo che il Parlamento, nell’affrontare la questione del pareggio di bilancio in Costituzione, così come previsto dagli accordi europei, ha modificato l’articolo 81 facendo riferimento al concetto di “equilibrio di bilancio” in rapporto al ciclo  economico. Voglio dire, cioè, che non si tratta affatto, viste le premesse da cui sono partito, di prendere in considerazione ipotesi di crescita basate sul deficit (sarebbe davvero un suicidio); ma, di valutare attentamente una intelligente gestione di quote di avanzo primario, quando esso sia strutturale e corposo. In tale prospettiva va considerata anche la possibilità di lasciar correre un poca di inflazione, come sfogo alle ristrettezze finanziarie.

La terza, infine: il risanamento finanziario non può più fondarsi sulle entrate. Salvo per una Patrimoniale, meglio strutturale che straordinaria, spazi per aumentare ancora le tasse non ci sono più. La pressione fiscale ha raggiunto livelli record e, semmai, è il momento di ridurla, a cominciare dal cuneo fiscale sull’impresa ed il lavoro. In coerenza con queste premesse, vanno indicate le principali strade più urgenti da intraprendere per trovare le risorse necessarie per affrontare contestualmente le due grandi priorità di cui ho parlato all’inizio: abbattere il debito, rilanciare l’economia.

Ho detto prima e lo ripeto, ci vogliono politiche straordinarie. Ne indico tre, tralasciando l’azione necessaria a livello europeo di cui ho già parlato.

1) Lotta all’evasione. Finalmente si fa sul serio. Gli interventi sono talvolta… spettacolari, ma la mentalità va cambiata. Il governo è sulla buona strada. I drammi ai quali assistiamo: suicidi e atti disperati, ci obbligano ad una attenzione profonda. Nessuno può essere lasciato solo e una rete di protezione ed assistenza va creata ed irrobustita, anche migliorando e correggendo l’azione dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia. La riduzione dell’aggio, il prolungamento della rateizzazione, il superamento del pignoramento facile per cifre contenute sono provvedimenti già adottati nella manovra salva Italia, ma non bastano. Bisogna chiedere al sistema bancario una maggiore sensibilità e ai «riscossori» un maggior discernimento tra vera evasione e congiunturale difficoltà. Per favorire questa presa di coscienza è opportuno che le entrate che derivano dalla lotta alla evasione ritornino in circolo sotto forma di riduzione delle tasse su impresa e lavoro. Non sarà molto, all’inizio, ma costituirà un segnale di inversione di tendenza e di fiducia.

2) Se, comunque, non c’è spazio per le tasse, bisogna agire sulla spesa pubblica. La spending rewiew è solo avviata ed il Governo appare intenzionato, ma in difficoltà a realizzarla. Dobbiamo aiutarlo e, semmai, spingerlo nella direzione della riqualificazione e razionalizzazione della spesa pubblica. Gli spazi, dice il Governo, sono inimmaginabili. Pratichiamoli. A cominciare da chiarire bene l’appuntamento che il governo ha fissato del recupero di 4,2 miliardi in pochi mesi, per evitare l’aumento dell’Iva già previsto per legge come contro clausola di salvaguardia per impedire il taglio lineare delle deduzione i detrazioni fiscali previsto dalla manovra Tremonti di luglio scorso. Se, dunque, si realizzeranno 4,2, miliardi di risparmi si potrà evitare di far scattare l’Iva, lasciando inalterato l’attuale struttura delle deduzioni e detrazioni; quindi, di fatto, non operando la riforma fiscale che la delega prevederebbe. Non penso dobbiamo accontentarci di questa impostazione. Se, infatti, la Commissione Ceriani ci dice che l’ammontare delle detrazioni e deduzioni fiscali ammonta a circa 250 miliardi di euro, distribuiti in, più o meno, 700 voci, mi chiedo se non possiamo trovare li, attraverso una razionalizzazione di questa… giungla, una cifra che si avvicini a quei 4 miliardi. Per dirla brutalmente: uno sforzo collettivo da parte di imprenditori, sindacati, politici può garantire un recupero di risorse aggiuntive a quelle che vanno comunque recuperate con la spending rewiew. Lo scopo è chiaro: dalla spending un recupero di risorse da destinare alla riduzione del debito e dalla riforma fiscale un recupero ulteriore da destinare in parte al debito ed in parte alla crescita. Così facendo l’Iva non scatta. Soluzione valida per non comprimere i consumi, ma anche una riserva che può tornare utile se la situazione sociale richiedesse risorse aggiuntive per gestire la crisi.

3) Un piano straordinario di dismissione del patrimonio pubblico. Il tesoro lo stima in circa 400 miliardi (un quinto del nostro debito). Certo si tratta di selezionare e di valorizzare la straordinaria e variegata ricchezza nazionale di cui disponiamo, ma lo spazio per delle cessioni, delle concessioni, delle  joint ventures, c’è. Comprendo e non sottovaluto l’obiezione principale che viene fatta e cioè che le condizioni di mercato non sono certo le migliori per vendere. Ma, mi chiedo se ci saranno mai condizioni migliori finché sulle spalle di ogni italiano, centenario o neonato, gravano oltre 30 mila euro di debito. L’altra obiezione ricorrente è che non è rimasto più molto da vendere dopo le famose privatizzazioni degli anni ‘90. È un luogo comune facilmente confutabile. Sia a livello nazionale, sia a livello locale, l’elenco delle partecipate o dei beni è ancora straordinariamente cospicuo. Come si vede lo spazio c’è. Se c’è anche la volontà possiamo farcela.

2012-06-08T14:58:33+02:00 8 Giugno 2012|News|

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