Di seguito l’intervento dell’on. Pier Paolo Baretta alla Camera. All’ordine del giorno la discussione della Relazione 2013 al Parlamento del Governo concernente l’aggiornamento del quadro economico e di finanza pubblica e il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese, predisposta ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 6, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
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Signora Presidente, colleghi,
Questa è la prima vera discussione di politica economica che facciamo in quest’aula dopo l’avvio della XVII Legislatura.
Siamo chiamati ad esaminare un aspetto molto importante e delicato: le modifiche, purtroppo al ribasso, delle previsioni economiche già contenute nel Documento di Economia e Finanza.
E’ la prova, se ancora ce ne fosse bisogno, della gravità della situazione nella quale si trova l’Italia e della urgenza di dare risposte. Ma, le risposte, continuano a non arrivare.
L’economia italiana sta subendo un brusco peggioramento. Il Pil si è ridotto ulteriormente: alla fine del 2012 di un ulteriore 0,9 con un effetto negativo sul 2013 è pari ad un punto percentuale. Insomma, se il Def prevedeva un Pil per quest’anno a meno 0,2, oggi si stima che sia meno 1,3%.
Appena 2 mesi fa la Banca d’Italia non prevedeva, per quest’anno, segnali di miglioramento. E l’Istat evidenzia, ancora in questi giorni, un ulteriore abbassamento del grado di fiducia delle famiglie mentre cresce quello che eufemisticamente viene chiamato il “grado di deterioramento del capitale umano”, cioè il disastro nel quale versa la condizione giovanile.
Conosciamo bene, infatti, i dati drammatici della disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile; ma anche quelli di coloro che, non più giovani, perdono il lavoro e, così, mentre aumentano le ore della Cassa integrazione stanno terminando le risorse necessarie a sostenerla. Con il rischio che aumenti il numero di coloro che si troveranno senza reddito e senza pensione, mentre dobbiamo ancora risolvere il problema di chi si trova senza ammortizzatori già oggi, e ricade nel calderone degli “esodati”.
Vediamo crescere vertiginosamente il numero delle aziende produttive e commerciali che chiudono ogni giorno, spesso strozzate da una crisi di liquidità dovuta all’asfissia del credito. Siamo impressionati e coinvolti dal numero di imprenditori che si sono suicidati perché non sopportavano il fallimento di una vita spesa a far crescere, attraverso la loro attività, la loro azienda, l’economia di un territorio ed il lavoro di persone e famiglie.
È’ sempre più insostenibile il peso della pressione fiscale, aggravata dall’attesa della Tares e dell’imminente aumento dell’Iva.
Siamo interrogati dall’aumento spaventoso della povertà; crescono attorno a noi l’indigenza, il disagio. Ne pagano il prezzo le famiglie e le comunità e sono soprattutto gli Enti locali, a cominciare dai Comuni, ad essere in difficoltà nell’assicurare i servizi ai cittadini.
E’ un elenco ancora parziale, ma già di per sé sconvolgente. Un elenco di priorità concrete, immediate, di persone e famiglie che attendono da noi risposte.
Al tempo stesso vediamo che, pur nella generale sfiducia, gli italiani continuano a rimboccarsi le maniche e ad operare ogni giorno con tenacia per mandare avanti la baracca. Ma anche questo impegno, questo attivismo, questa volontà esprime una domanda di sostegno, di strumenti, di conoscenza che ha bisogno di risposte.
Risposte che tardano ad arrivare, a causa di un contesto politico straordinariamente intricato. E, noi, oggi, qui, risentiamo del peso di questa situazione incompiuta.
Abbiamo apprezzato la capacità del Presidente Napolitano di evitare lo stallo completo di una legislatura appena nata e saremo leali sostenitori della sua iniziativa. Ma non possiamo, in quest’aula, non dirci che avvertiamo tutta la precarietà e la problematicità di questa fase.
Il gruppo di lavoro voluto dal Presidente della Repubblica ha iniziato stamattina i suoi incontri. Lo stesso Presidente ha precisato come il compito che ha affidato sia ricognitivo e limitato nel tempo.
In ogni caso, Signora presidente (e mi rivolgo a Lei direttamente), credo opportuno che, pur nel rispetto della autonomia che a questo gruppo ha, esso si rapporti costantemente col Parlamento.
La presenza, infatti, dell’On. Giorgietti e del Sen. Bubbico dipende senza dubbio ed in primo luogo dalla loro personale autorevolezza, ma ha certamente influito anche il loro ruolo di Presidenti delle Commissioni speciali di Camera e Senato.
Queste Commissioni speciali, peraltro, sono già al lavoro da alcuni giorni e noi non ci sottrarremo dallo svolgere, in piena responsabilità, il compito che ci è richiesto ed oggi qui, in Aula, valutiamo il primo esito di tale attività.
Nei prossimi giorni affronteremo il decreto sui pagamenti della PA, che chiediamo arrivi subito. Ma, è già all’ordine del giorno la decisiva questione degli esodati, almeno per quella parte collegata alla legge di stabilità, che va risolta. Inoltre, possiamo presumere che siano in cantiere altri provvedimenti, ed alcuni, come il rinvio della Tares ed il rifinanziamento della cassa integrazione, senz’altro li sollecitiamo!
Ma, il nostro compito, come Commissione speciale, per quanto importante, non può risolvere la crisi, sostituendo il confronto in aula.
La normale vita parlamentare non dipende solo dal governo, ma, francamente, non ne prescinde. La sovranità del Parlamento, che esiste e precede il governo, si realizza compiutamente solo in relazione all’Esecutivo.
L’argomento, dunque, diventa, non tanto un Parlamento che agisce senza governo, ma un Parlamento che legifera con un governo purchessia, anche…scaduto.
E’ quanto sta accadendo ora. Noi, infatti, discutiamo con un Governo dimissionario e, ancorché mai sfiduciato, nemmeno mai “fiduciato” da questo nuovo Parlamento.
Discutiamo, cioè, per dirla con schiettezza e senza che suoni riduttivo del lavoro che ci apprestiamo a fare insieme, discutiamo… senza governo, o meglio senza un governo del tutto legittimato e programmatico.
Questa situazione non può durare. Ci vuole un governo. Un nuovo governo. Ma, non uno qualsiasi.
Sono troppi i commentatori e gli opinionisti che, dopo averci per molto tempo criticato perché eravamo, a loro dire, troppo concilianti, troppo responsabili, oggi si spendono, con disinvoltura, per maggioranze qualsiasi, purché sia, purché respiri…
No, quel che serve, oggi, proprio per la gravità e l’urgenza della situazione del Paese, proprio perché bisogna prendersene cura e dargli una prospettiva certa, quel che serve non è una maggioranza qualsiasi, un governo qualsiasi.
Serve sì un governo e subito, ma che sia di cambiamento, che affronti di petto e con coraggio la situazione economica, sociale e politica. E, soprattutto, che non si perda in estenuanti tentativi di conciliazione, come per troppe volte abbiamo dovuto fare nella strana maggioranza dello scorso anno. Insomma, un governo che lo faccia per davvero questo cambiamento!
Non di meno, Signora Presidente, proviamo a rispondere, per quanto è in nostro potere, anche in questa precaria situazione, ad alcune emergenze economiche e sociali.
Oggi una prima risposta sembra possibile, finalmente.
Sbloccare, cioè, i pagamenti della PA verso le imprese.
Perseguiamo da tempo questo obiettivo e non possiamo indugiare oltre.
Finalmente il problema dei ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni è all’ordine del giorno della discussione politica!
Dopo lunghe battaglie parlamentari -non c’è provvedimento economico nel quale il Partito Democratico non abbia, in questi anni, provato ad inserire il tema dell’allentamento del patto di stabilità – oggi, a causa della gravità drammatica della crisi, ci si rende conto di quanto pesi nella recessione economica questa anomalia economica e, senza esagerare, democratica.
Diciamo subito, però, che lo sblocco dei pagamenti della PA verso i creditori, è, per noi, solo il primo passo, il primo atto di una strategia compiuta.
Se vogliamo, infatti, incidere davvero sulla ripresa bisogna smontare al più presto il patto di stabilità. Le scelte di bilancio effettuate da regioni, province e comuni, anche a seguito del taglio dei trasferimenti, hanno fortemente ridotto la spesa in conto capitale. Ma sono i vincoli del patto che provocano il blocco dei pagamenti arretrati per lavori regolarmente eseguiti, anche quando ci sono le risorse disponibili in cassa.
Bisogna svincolare gli Enti locali, a cominciare dai Comuni, e consentire loro di poter agire, a partire dalle risorse disponibili, almeno su tre grandi emergenze che si intrecciano tra loro: il dissesto idrogeologico e la cura del territorio; la manutenzione degli edifici pubblici, a cominciare dalle scuole; la regolarità dei pagamenti.
Il Partito Democratico ha posto questo tema, a partire dallo sblocco dei pagamenti della Pubblica amministrazione, soprattutto per gli enti locali, come uno degli otto punti prioritari per il governo del Paese che sono all’attenzione di tutte le forze politiche.
Si dovrà agire senza indugi, anche a fronte della disponibilità, manifestata in questi giorni, in sede europea, per un possibile allentamento delle regole del Patto di stabilità per le spese di investimento.
La trattativa con l’Europa deve farsi stringente su tutta la materia economica e fiscale.
Per quanto ci riguarda riconfermiamo il pieno rispetto degli impegni presi dall’Italia in materia di bilancio. Ma, proprio la conferma, anche da parte del nuovo Parlamento, di questi vincoli ci rende credibili nell’insistere con la UE per un cambio di assetto. Dobbiamo recuperare il ritardo accumulato negli ultimi mesi di governo della scorsa Legislatura quando si poteva, a fronte del miglioramento dei nostri conti pubblici, alzare di più la posta per spingere per una revisione delle regole europee.
La attuale politica economica dell’Unione non consente di uscire dalla morsa della crisi. Al necessario rigore dei conti pubblici è indispensabile… indispensabile, affiancare le misure per lo sviluppo e la solidarietà.
L’Italia deve fare la sua parte, a cominciare dall’imminente appuntamento di stesura dei due principali documenti di politica economica. Il De, che, lo ricordo, dovrà essere presentato al parlamento entro la metà di questo mese, cioè tra una decina di giorni, e il Piano nazionale delle riforme.
Credo necessario, signora Presidente che il Governo esca dal riserbo che circonda queste scadenze e cominci a discutere con noi cosa intende fare e dire in questi importanti documenti.
Ma, intanto, agiamo noi! Non possiamo nemmeno attendere la soluzione politica della crisi o la riforma del patto. L’emergenza economica è tale che almeno sui pagamenti bisogna agire ora.
E, che, infatti bisogna muoversi immediatamente è chiaro dai dati, impressionanti, di cui disponiamo.
Infatti, secondo Banca d’Italia, il 25 per cento delle imprese italiane sono creditrici della Pubblica Amministrazione. Un quarto della nostra struttura produttiva, commerciale, culturale, della nostra economia, insomma!
Delle oltre 30 aziende che falliscono ogni giorno nel nostro paese, più della metà lamenta, tra le cause, il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione. È, dunque, in gioco la sopravvivenza stessa del tessuto produttivo
L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture stima che i tempi di pagamento arrivano tranquillamente e superare i due anni; il doppio rispetto a quanto si registra nel resto dell’Unione europea.
Secondo la Corte dei conti (in un audizione tenutasi alla Camera già un anno fa, l 13 marzo 2012) il debito della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese ammontava a circa 60-70 miliardi di euro, di cui 17,9 miliardi di euro a carico dello Stato centrale ed il resto degli Enti locali. Ma, già solo dopo anno siamo arrivati a oltre 90 miliardi, come ci ha detto la Banca d’Italia nella audizione di qualche giorno fa.
Le difficoltà finanziarie del bilancio pubblico, che pure pesano, non giustificano questo stato di cose. Ad aggravarlo ci pensa anche l’eccesso di burocrazia, talvolta dovuta a buoni motivi, come la nuova normativa sulla tracciabilità dei flussi finanziari che se, da un lato, ha la positiva finalità di prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato degli appalti pubblici, dall’altro implica, però, ulteriori ritardi nelle procedure di pagamento.
Ma, più spesso sono lungaggini burocratiche ingiustificate.
Col risultato, doppiamente negativo, che l’insolvenza degli enti pubblici provoca un crescente, pesante contenzioso, con l’effetto di un ulteriore aggravio dei costi.
Non c’è tempo da perdere, dunque. L’immissione, infatti, di un’ingente iniezione di liquidità, a carico della finanza pubblica, provoca un vantaggio immediato per il sistema delle imprese. Finalmente, anche il Governo, considera questo tema necessario ed urgente.
Gli importi previsti, pari a circa 20 miliardi di euro nella seconda parte del 2013 e a ulteriori 20 miliardi nel corso del 2014, ripartiti in circa 19 miliardi per i Comuni (di cui 7 per investimenti, distribuiti in 12 miliardi per il 2013 e 7 per il 2014), 14 miliardi per la sanità (5 nel 2013 e 9 nel 2014), 7 miliardi per lo Stato (3,5 in ciascun anno), rappresentano neanche la metà di quei 91 miliardi del totale dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Ma è un buon inizio, soprattutto se , nel decreto, il governo terrá conto delle indicazioni che stanno provenendo dal Parlamento.
Di questi 91 miliardi totali solo 11 sono quelli ceduti pro soluto a intermediari finanziari, il che ci consente di affermare che la priorità dei pagamenti può andare direttamente alle imprese, scongiurando la giusta preoccupazione, da più parti manifestata, che la quota parte più rilevante fosse destinata al sistema bancario.
In questa operazione c’è anche un importante effetto sulla contabilità nazionale, perché fa emergere ingenti poste di bilancio finora in parte sommerse dal punto di vista del fabbisogno e del debito.
Il ridotto effetto sull’indebitamento netto ci dice che la quota maggioritaria riguarderà i residui passivi di parte corrente, che hanno effetto solo su fabbisogno e debito. Ma, è necessario che nel decreto il governo chiarisca l’entità dello stock di residui passivi esistenti e la composizione tra parte corrente e in conto capitale.
Come sarà utile conoscere gli effetti delle misure avviate nel 2012 (in particolare quelle previste dall’articolo 35 del decreto-legge n. 1 del 2012, aventi lo stesso oggetto). Ciò allo scopo di rendere più semplici ed automatiche le certificazioni.
Ma la assoluta urgenza di pagare le imprese non deve farci ignorare un aspetto di questa vicenda che va affrontato con grande senso di responsabilità. Mi riferisco ai riflessi di questa manovra sul conto economico delle amministrazioni pubbliche. Le misure di cui stiamo parlando comportano in questione maggiori pagamenti in conto capitale per circa 7,8 miliardi, determinando un peggioramento dell’indebitamento netto di 0,5 punti di PIL nel solo 2013. Il saldo di bilancio passerebbe di conseguenza da meno 2,4 per cento del PIL del quadro tendenziale a legislazione vigente a meno 2,9 per cento. A ridosso, cioè, di quel 3 per cento del Pil che rappresenta, come noto, il livello massimo di indebitamento netto nominale previsto dal Patto di stabilità e crescita.
Dunque, con l’intervento sui pagamenti, che, lo ripeto, va assolutamente realizzato, si esaurisce, di fatto, almeno per il 2013, lo residuo spazio per interventi di politica economica a livello nazionale (ovviamente fatta esclusione per manovre finanziarie dotate di adeguate coperture, a parità di saldi).
So bene che, come ci ha ricordato il ministro Grilli, ogni legge ed ogni intervento da realizzare, tra cui, ad esempio quelli citati sul rinvio della tares e sul rifinanziamento della Cassa, ha bisogno di una copertura che va oltre questa discussione. Ma, resta il fatto che, politicamente, si tratta di una ipoteca sulla attività di questo e, soprattutto, del prossimo governo che non possiamo sottovalutare e che rende necessaria una presa di coscienza politica.
Al tempo stesso, la questione dei pagamenti ha delicati risvolti comunitari. Il 25 marzo scorso, in quest’aula, il Presidente Monti, informandoci sul vertice europeo, ha confermato che l’Italia deve rispettare la soglia del 3 per cento nel 2013, pena restare nella procedura di deficit eccessivo, rispetto alla quale l’azione del governo deve pienamente svilupparsi per ottenere, invece, una valutazione positiva.
In una nota di pochi giorni prima (il 18 marzo) il Commissario agli affari economici e monetari, Olii Rehn e il Commissario all’industria, Antonio Tajani, non hanno risolto alcuni dubbi interpretativi relativi all’impatto della misura sui nostri conti pubblici. Il che ci dice che il negoziato è ancora da sviluppare, soprattutto in ordine ad una maggiore flessibilità nell’applicazione delle regole vigenti che dovrebbe avere concrete ricadute soprattutto in materia di investimenti.
Anche se gli 800 milioni destinati ai nuovi investimenti produttivi, che sono scomputabili dai parametri di bilancio, possono essere considerati una piccola golden rule, tanto più se coinvolgono i cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali.
In conclusione, signora Presidente, colleghi,
Ci aspettiamo, con l’approvazione di questa risoluzione che già nei prossimi giorni il Governo vari il decreto applicativo per dare il via ai pagamenti certi ed immediati alle imprese da parte della PA.
Ci aspettiamo anche che il decreto raccolga le indicazioni del Parlamento. Il relatore, on. Causi, e i rappresentanti di tutti i gruppi ( sottolineo: tutti!) sono concordi nel chiedere rapidità e nell’indicare concretezza e chiarezza, a partire dalla immediate esigibilità; dalla semplicità ed automatismo delle norme; dalla effettiva possibilità di compensazione coi debiti tributari delle imprese; dalla eventuale centralizzazione dei pagamenti, sulla base, pur con le specificità italiane, del modello spagnolo.
Se si agisce subito si può tamponare l’emorragia, si sblocca lo stallo e si avvia una inversione di tendenza salutare, presupposto decisivo per una ripresa di fiducia da parte delle imprese, soprattutto medio piccole, strozzate da troppi fattori negativi (credito, produttività, innovazione) per sopportare che tra questi ci sia anche lo Stato! Non possiamo permetterlo.
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