Pubblichiamo integralmente la lettera che Pier Paolo Baretta, ex-sottosegretario del Mef e tra i promotori del Fondo di ristoro per le vittime dei reati bancari, ha inviato al direttore del Sole24ore per spiegare perché le scelte del governo gialloverde potrebbero compromettere i risarcimenti per i risparmiatori truffati.
Egregio direttore,
La malsana gestione delle banche popolari venete ha dato un duro colpo all’economia del territorio, dilapidando soci e clienti che, in buona fede, avevano investito i loro risparmi nei due Istituti per un consolidato – quanto tradito – rapporto di fiducia. È questa particolare condizione che ci ha convinto a prevedere un risarcimento anche per gli azionisti, che in generale si assumono il rischio del loro investimento, qualora venga accertato – da parte del giudice; ma, anche, da un arbitro, purché indipendente – che hanno subito un danno ingiusto. Questa impostazione, condivisa con l’Europa e, da noi, adottata nella legge di bilancio dello scorso anno, consente che i risarcimenti siano erogati rapidamente. Ma, il governo in carica, non vi ha dato mai corso e l’ha, addirittura, stravolta, abolendo l’arbitro e, addirittura, affidando la gestione dei rimborsi ad una Commissione di nomina politica, suscitando, inevitabilmente, la reazione europea. Salvini e di Maio, sabato scorso, a Vicenza, hanno risposto coi soliti toni e, indifferenti alle contestazioni europee, hanno garantito che rimborseranno comunque. Campagna elettorale? Sì; ma, temo, ci sia qualcosa di più. Alcune Associazioni di risparmiatori, le più radicali, ancorché minoritarie, pretendono che tutti gli azionisti vengano rimborsati integralmente; in quanto, tutti, indistintamente, “truffati”. È, poiché i “colpevoli”, ossia le banche ed i loro amministratori, sono, di fatto, insolventi, deve essere lo Stato, ovvero gli altri cittadini, a rimborsarli. La maggioranza ha appoggiato questa linea insostenibile (ed ingiusta: non tutti gli azionisti sono uguali); 5 stelle ha, addirittura, candidato, alle politiche, uno degli esponenti di punta di queste associazioni.
Per evitare ai risparmiatori e la perdita di ulteriore tempo (che farà perdere anche le risorse stanziate) è sufficiente che il Governo, invece di un ennesimo, inutile, braccio di ferro, faccia un decreto col il quale ripristina la figura dell’arbitro (Anac o arbitro per le controverse finanziarie; vanno bene entrambi) e cancella i limiti di 30 mila e 100 mila euro di tetto, che riducono la platea. Varrà di più l’interesse dei risparmiatori o quello elettorale?
Ma, a Vicenza i due vice premier hanno colto, anche, l’occasione per un attacco pesante a Banca Italia, con toni per più gravi di quelli, già inconsueti, con i quali si era mosso il partito democratico, in occasione della riconferma del Governatore. Ma, se, allora, il Governo Gentiloni esercitò in Parlamento una azione di contenimento, chiedendo in aula al PD (toccò a me il compito) di modificare la propria mozione, evitando, così, una crisi istituzionale, rinviando il giudizio di merito alla Commissione bicamerale sulle banche; qui è il governo in prima persona a scagliare le pietre, aprendo uno scenario che preoccupa non poco. Non tanto perché non vi siano delle critiche da muovere (che, nel caso del sistema bancario, sono agli atti della Commissione stessa), quanto perché il reiterato attacco (nessuno è risparmiato!) al pluralistico complesso delle strutture con le quali è articolato lo Stato democratico, afferma un’idea davvero distorta del primato della politica.
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