Pubblichiamo la proposta di legge, presentata venerdì 18 novembre scorso dai deputati Pier Paolo Baretta, Cesare Damiano e Donata Lenzi “Disposizioni per consentire la libertà di scelta per l’accesso al trattamento pensionistico dei lavoratori”, in cui si propone, salvaguardando il diritto di accesso alla pensione con 40 anni di contributi svincolato dall’età anagrafica, un sistema flessibile di uscita volontaria da 62 a 70 anni di età con una tabella di incentivi e disincentivi. Con l’attuale legislazione, a partire dal 2013, un lavoratore con 35 anni di contributi, per poter andare in pensione dovrà avere il requisito anagrafico di 62 anni di età o di 61 anni con 36 anni di contributi (quota 97). A ciò vanno aggiunte le cosiddette “finestre” che rinviano di almeno un anno la praticabilità del diritto riconosciuto. Anche i 40 anni di contributi non sono più tali per effetto delle “finestre”: il solito imbroglio del passato governo. Da qui la proposta di un sistema che consenta ad ogni lavoratore la possibilità di scelta per accedere al trattamento pensionistico secondo uno schema flessibile, fatte salve le attuali normative riguardanti i lavoratori con 40 anni di anzianità contributiva, così come quelle dei lavoratori interessati dall’applicazione della disciplina dei lavori usuranti del D.Lgs. 21 aprile 2011, n. 67.
SUGGERISCO
al prossimo governo che dovrà aggiustare i guasti della riforma Fornero
61 ANNI età anagrafica e 40 anni di anzianità contributiva (quota 101 requisiti minimi )posson bastare, perlomeno per un periodo transitorio di almeno 4 anni.Si risolverebbero molti problemi che la riforma Fornero ha creato. Primo fra tutti quello degli esodati e l’inserimento di risorse giovani capaci di interpretare i grandi cambiamenti in corso nel mondo del lavoro
concordo 61 anni sono sufficienti però abbasserei a 36 gli anni contributivi. la famosa quota 97 in vigore fino al 2012
suggerirei al governo di dare la possibilità specialmente alle donne di poter andare in pensione dopo aver compiuto i 35 anni di anzianità lavorativa, senza tener conto dell’età anagrafica: es. 35 anni di contributi e 55 o 54 di età anagrafica; ci sono molte donne in questa condizione
La forma più equa, quella cioè che non crea disparità di trattamento (cosa avvenuta fino ad oggi), è l’uscita flessibile dal mondo del lavoro. L’arco temporale 62-70 anni mi pare più che ragionevole poiché consente ad ognuno di poter programmare come e quando andare in pensione. Ognuno potrà scegliere secondo il proprio stato fisico ed economico e decidere a riguardo. E’ la strada giusta da percorrere e questo dovrà recepirlo anche il nuovo segretario del PD.
Secondo me non si può prospettare una soluzione di riforma del sistema pensionistico senza avere la conoscenza esatta dei dati aggiornati della popolazione italiana, siano questi dati che riguardano il numero per fasce di età,economici, statistici.Tuttavia che la riforma Fornero abbia provocato squilibri sensibili,anche per quanto riguarda il ricambio tra anziani e giovani, è innegabile.Un capitolo a parte,ancora prima della riforma Fornero,sono quei lavoratori messi fuori dalle aziende a seguito dei famosi accordi collettivi/individuali, una categoria che a mio avviso, avrebbe diritto alla precedenza assoluta per quanto riguarda l’aiuto del Governo,se non altro perché sono stati buttati fuori senza alcuna tutela,e pur avendo ottenuto il riconoscimento del diritto alla salvaguardia da parte delle DTL,si sono visti rigettare la domanda di pensione da parte dell’INPS per macanza della totalità dei versamenti contributivi.(Come fa il lavoratore ad averli tutti, se è stato messo alla porta?).intanto dovrebbe essere presa come riferimento per ogni singolo caso, la legge in vigore al momento dell perdita del lavoro.Nel 2003 era in vigore la legge 335,come è possibile modificare o applicare nuove regole a chi il lavoro lo ha perso in quell’epoca…, per chi prosegue l’attività lavorativa qualsiasi riforma può avere un senso…Unicamente per questa tipologia,e cioè per chi è stato estromesso ancor prima delle diverse riforme, con la legge 335, ha superato i 57 anni di età anagrafica, ha maturato oltre i 20 anni di contribuzione,non si è più ricollocato e risulta ad oggi disoccupato presso il Centro per L’impiego,ha ottenuto il riconoscimento del diritto alla salvaguardia dalla DTL,sarebbe opportuno considerare la possibilità di accedere al pensionamento, in base all’art. 20 della citata legge.
ognuno propone le soluzioni a lui confacenti. penso che chi dice: 61 anni di anzianità e 40 anni di contributi, sta proponendo qualcosa che gli calza a pennello.
SALVE.- PROPRIO IN VIRTù DI UN TURN-OVER, CONSENTIREI, Altresì, L’USCITA CON 40 DI CONTRIBUZIONE ED INDIPENDENTEMENTE DALL’ETà ANAGRAFICA.- SI TRATTEREBBE DI LAVORATORI AD “ESAURUMENTO” PER
CONSENTIRE L’USCITA FLESSIBILE CON 4O ANNI CONTRIBUITI DA PARTE DI CHI HA INIZIATO A LAVORARE ININTERROTTAMENTE DAGLI ANNI DEL 1970.
(I FONDI SI TROVANO TAGLIANDO GLI SPRECHI DELLA LUSSUOSA POLITICA E DALLE SPESE MILITARI).- GRAZIE PER L’ATTENZIONE.- CORDIALMENTE.
TAMPELLINI GIANNI SONO PIENAMENTE DACCORDO 41 ANNI DI LAVORO POI CAMBIO CON NUOVE GENERAZIONI
Sono un 51enne laureato in Economia, sono stato dirigente 5 volte in carriera occupandomi di Marketing, oggi mantengo la mia famiglia grazie ad una Partita IVA ed a tanta volontà. Quanto segue valutalo, e solo se ti trova concorde, proponilo per affrontare quella che io vedo come la principale soluzione per uscire dalla crisi finanziario/economica (perché è prima finanziaria, poi, temporalmente, economica): LIBERALIZZIAMO LE PENSIONI, e senza troppe regole. Gli over 55 non sono molto ricercati dalle Aziende, se in organico al limite sopportati perché pur se esperti costano molto di più e per la maggior parte delle funzioni considerati meno efficienti (pensa ad un muratore al decimo piano di un palazzo, ad un autotrasportatore che percorre centinaia di migliaia di km l’anno, ad un export manager obbligato a continue cene di lavoro e magari a frequenti voli internazionali …), ripeto “liberalizziamo”, con questo termine intendo permettiamo a chi vuole, ed ovviamente a chi può, di andare in pensione, superati i 30 anni di versamenti INPS, con una valorizzazione mensile in funzione della propria contribuzione storica e delle aspettative di vita; nello stesso tempo salvaguardiamo ovviamente l’articolo 18! Lascio ai tecnici i conteggi, sottolineo che la proposta è a costo zero per lo Stato in quanto i calcoli di matematica attuariale permettono di stimare oggi una rendita pensionistica a parità di montante complessivo che vedrebbe però il lavoratore libero di scegliere il momento della sua vita nel quale dedicarsi a se stesso. La disoccupazione giovanile scenderebbe abbondantemente sotto il 10%, si risolverebbe il problema degli esodati perché non esisterebbero più, semplificheremmo un sistema complicato che distingue oggi ingiustamente il trattamento tra i dei due sessi, ma soprattutto si ricostituirebbero nuovi nuclei familiari che rilancerebbero i consumi nel breve come nel medio periodo, assisteremmo nuovamente ad una ripresa delle nascite …, in poche parole avremmo la fondata speranza di non essere un Paese di vecchi, ed aggiungo di poveri, al massimo tra 20/25 anni. Lo scotto relativo da pagare spetterebbe ai padri ed alle madri attuali volontari a beneficio dei figli che stanno terminando gli studi o che li hanno da tempo terminati e sono stanchi di stage, lavoro in nero, occupazioni a termine presso call center e comunque sottopagati, questa si che sarebbe una “staffetta” utile, controllabile e concreta. In fin dei conti la maggior parte di chi ha 50/60 anni ha sino ad oggi avuto una vita migliore di quella dei propri genitori; io sono stato tra questi e sarei pronto ad “accontentarmi” a breve ma a non vedere inevitabilmente morire lentamente il mio Paese! Paolo Mario Aghem